Nella gazzarra che alcuni parlamentari del PDL hanno inscenato oggi davanti e dentro al Tribunale di Milano ci sono molte ragioni di scandalo: ma non sono le stesse che denuncia Alfano, secondo il quale processare un leader politico per reati comuni minerebbe i fondamenti della democrazia.
A lui – a loro – lo scandalo evidentemente sembra essere di lesa maestà: si osa portare avanti un normale processo contro un imputato tanto eccellente (ricordate? il “primus super pares” evocato davanti alla Corte Costituzionale), con corredo di vincoli procedurali e persino – non sia mai – una irrispettosa visita fiscale. Tutta roba che va bene per la gente comune, non certo per l’intoccabile B. Tanto che la logica dello Stato di diritto (o quella che noi, gli altri, riteniamo tale) viene completamente ribaltata: l’anatema cade non su chi viola le leggi della Repubblica, qualsiasi sia il suo status sociale, bensì su chi pretende di applicare al potente le stesse banali regole che valgono per tutti gli altri.
A noi invece pare che lo scandalo stia proprio in questo inverecondo ribaltamento, nel negare il diritto-dovere della giurisdizione di applicare le sue regole anche ai ricchi e potenti. Ma a ben vedere l’episodio odierno va molto oltre la ormai ben nota refrattarietà dei fedelissimi di B. alla “rule of law”: oggi un plotone di parlamentari del PDL ha invaso i corridoi del Tribunale di Milano (e non è entrato nell’aula del processo in quanto chiusa), inneggiando a Berlusconi e improvvisando comizi contro la magistratura, accusando i giudici, indistintamente, di voler eliminare il loro “caro leader”.
Non è chi non veda la portata eversiva di tale condotta, che contesta l’esercizio della giurisdizione per il fatto stesso di essere diretta contro un esponente politico e, nelle sue modalità, costituisce una gravissima forma di pressione contro gli organi giudiziari investiti del processo contro di lui. Ulteriore portata eversiva riveste l’invocazione al Capo dello Stato, quasi si potesse immaginare che il Presidente Napolitano si accodi alla pattuglia di pasdaran di B., per criticare i giudici che osano mettere in dubbio i sedicenti legittimi impedimenti, dei quali sono piene le cronache giudiziarie degli ultimi vent’anni.
Per i seguaci di B., le sentenze sono giuste o sbagliate – non in base alla correttezza e aderenza ai fatti del procedimento su cui si basano, non in base alla onestà e competenza dei giudici – bensì a seconda che pervengano o meno al risultato da loro auspicato; ma questo è un atteggiamento comprensibile in un imputato, non certo in un rappresentante del popolo italiano eletto in Parlamento, o addirittura in un ex Ministro della Giustizia. Che costoro non si vergognino di invadere un Tribunale della Repubblica predicando la superiorità del potere politico alla legge, questa è vera emergenza democratica.
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