Con quaranta giorni di campagna elettorale ancora davanti le sorprese sono sempre possibili. Tanto più in questa consultazione che, per la prima volta dopo tanti anni, si tiene in un quadro politico non bipolare. Troppe sono le incertezze, e c’è chi ricorda precedenti poco incoraggianti per il centrosinistra. Non tanto lo spettro del 1994, con la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. Ma soprattutto l’incubo del 2006, quando Prodi era largamente in testa e Berlusconi riuscì nell’impresa di trasformare la sconfitta annunciata in una sconfitta di misura, un quasi pareggio. E’ a questo che il Cavaliere guarda, al di là dei suoi grotteschi proclami di vittoria. Certo, la preannunciata implosione del Pdl non c’è stata. Il ritorno in campo di Berlusconi ha bloccato la frana. Ma non è in grado di assicurare una mirabolante rimonta, fino a impedire la vittoria del centrosinistra. Questa volta, il signore di Arcore non può combattere per vincere. Ma è in campo per assicurarsi la sopravvivenza politica. Il che vuol dire in concreto questo: impedire che dalle urne esca un chiaro vincitore così da poter partecipare poi alla definizione di un nuovo equilibrio dei poteri. Avremmo un’elezione potenzialmente inconcludente. Una prossima legislatura esposta a nuove incertezze.
Non sarebbe un rischio da poco. Berlusconi sta dando il meglio di sé, che è il peggio per ogni persona a modo. Ha ripristinato tutti gli strumenti delle sue campagne elettorali. Convinto che possano dare ancora i loro frutti, malgrado i disastri lasciati in eredità dal suo governo, malgrado l’isolamento internazionale, malgrado le Olgettine e le tante cattive frequentazioni. Dunque, tasse da abolire, Costituzione da smontare, giudici da mettere sotto tutela, comunisti da combattere… Lo schema è chiaro: fare terrà bruciata tra lui e lo schieramento progressista guidato da Bersani. Gli riuscì in passato, quando azzoppò così l’ipotesi di un centro riformatore patrocinata da Mario Segni. L’obiettivo, questa volta, è Monti. Con i centristi guidati dal Professore ridotti a una modesta entità politica e il centrodestra vincitore in qualche regione chiave, come la Lombardia, il Paese si troverebbe di nuovo in una condizione politica di stallo. Il centrosinistra vincerebbe nettamente alla Camera, ma, per effetto della perversa legge elettorale, non avrebbe la maggioranza assoluta al Senato. Una situazione assai vicina a quella che dovette affrontare, con esiti disastrosi, il governo Prodi nel 2006.
Monti ha capito il gioco del Cavaliere. E ben presto ha adottato una linea alquanto ruvida nei suoi confronti. Sa che il suo centro deve pescare nel serbatoio del centrodestra, deve impedire che Berlusconi, pur ridimensionato, esca dalle elezioni ancora in grado di condizionare il nuovo Parlamento. Ma un montismo che si espanda oltre misura diventerebbe determinante al Senato, mettendo a rischio un chiaro responso elettorale a favore del Partito democratico. La situazione di stallo si riproporrebbe su un altro fronte. A sinistra, Monti non ha rinunciato alla polemica verso il Pd. I centristi, con Casini in testa, rivendicano la poltrona di Palazzo Chigi per il Professore, qualora Bersani non abbia la maggioranza assoluta anche a Palazzo Madama. Ora, circolano con insistenza le voci di un patto di “non belligeranza” tra Monti e Bersani per sconfiggere il Cavaliere. Ma a quali condizioni? Le incognite sono molte, fino a creare un effetto quasi surreale. Il Partito democratico deve guardarsi anche dalla concorrenza sul suo lato sinistro, rappresentata dallo schieramento guidato da Antonio Ingoia. Si è prospettata l’ipotesi, poi smentita, di un patto di desistenza con l’ex Pm, ma i precedenti di accordi di questo tipo non sono certo confortanti. Non sappiamo neppure quanto possa essere convincente l’appello della coalizione bersaniana all’esigenza del “voto utile”, come fece, nelle passate elezioni, Veltroni, mettendo fuori gioco la sinistra radicale di Bertinotti.
Tattiche e pretattiche. Ma le proposte concrete e alternative sulle quali chiedere il giudizio degli elettori? Bersani ha affrontato la campagna elettorale con una calma olimpica, forte dei sondaggi largamente favorevoli al suo partito. Ma, a questo punto, si impone per il Pd un’urgente messa a punto. Non si può dormire a lungo sugli allori. L’onda delle primarie non dura all’infinito, come mostrano gli ultimi sondaggi. La sobrietà e la pacatezza del segretario del Partito democratico sono apprezzabili. Tanto più se raffrontate agli artifici e agli inganni berlusconiani. Però, in alcune circostanze, Bersani rischia di apparire generico più che sobrio. La sua strategia ha un senso se sostenuta da una serie di proposte originali e innovative. Se non si rinuncia a condurre il gioco. Se si scrive e si fa l’agenda. Non se la si subisce. Bersani è un politico serio. Non un seduttore. Ha ammesso di “procedere col passo lento dell’alpino”. D’accordo. Ma non rinunci ad accendere qualche segnale mentre si inerpica verso la vetta. Buon senso e competenza sono belle qualità. Ma debbono tradursi in messaggi semplici. In idee concrete, facilmente afferrabili. Capaci di scaldare il cuore del cittadino elettore.