Che cosa dobbiamo attenderci ancora da questa sgangherata campagna elettorale? Le “uscite” di Berlusconi ci indignano, ma non ci sorprendono più. Con lui non c’è mai fine al peggio. L’asticella può essere sempre alzata. Fino al maldestro tentativo di “sdoganare” il Duce e il Ventennio, fino agli elogi per Mussolini. Ma il Cavaliere minaccia di contagiare un po’ tutti. Si sa che il bon ton non è proprio della contesa elettorale. Però, questa volta, si sta esagerando. Nessuno, nemmeno Storace, arriva a rivalutare il fascismo. Ma tutti fanno a gara a spararla più grossa. Come Ingroia e Di Pietro che, del resto, non ha mai avuto un eloquio da lord. Come il sempre misurato Bersani che ora promette di “sbranare” chi fa insinuazioni sul suo partito per lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena. E come, udite udite, anche l’algido Mario Monti. Il premier del rigore e delle quaresime fiscali che ora è pronto a lanciarsi nel gran carnevale delle suggestioni elettorali. A dirla tutta, è il Professore la vera sorpresa, quello che sembra più contagiato dal virus berlusconiano. Compreso il presenzialismo televisivo.
Si avvicina la scadenza elettorale. E il sobrio Professore, consigliato dal guru americano, ha deciso di mettere nel cassetto l’agenda delle penitenze fiscali e aprire invece il libro delle promesse. Allora, abbattimento progressivo dell’Imu, al quale faranno seguito il dimezzamento dell’Irap e la riduzione dell’Irpef. Ecco, bello e pronto, il piano per la tasse, con una riduzione fiscale per 29,5 miliardi. Non si fa mancare nulla, Mario Monti. Fino a richiamare, in pieno, i tratti del suo predecessore. E, infatti, le sue promesse hanno fatto venire l’orticaria a Berlusconi che si sente imitato in tutto e per tutto. Ma non si ferma qui, il Presidente del Consiglio. C’è un altro tema berlusconiano che ha deciso di sfruttare. Quello dei pericoli che vengono da sinistra: la Cgil, Vendola, un’ala dello stesso partito democratico. Certo, lo fa con ben altra misura, senza gridare al pericolo comunista. Si è avvalso, nella sua esibizione televisiva, di un riferimento obliquo: i rischi di una nuova manovra, all’indomani delle elezioni, che dipendono da “certi esiti delle votazioni”.
Ma la sostanza del discorso non è per questo meno chiara. In soldoni: una manovra integrativa, quindi straordinaria, sarebbe inevitabile nel caso in cui fosse il centrosinistra a vincere le elezioni, senza che il Professore fosse in grado di condizionarlo con la forza della sua coalizione centrista.
E’ qui che la polemica con Bersani è esplosa. E sembra destinata a dilatarsi. Perché, in questo giudizio, c’è l’essenza della strategia montiana che, per affermarsi, rispolvera la vecchia formula dell’inaffidabilità della sinistra sui mercati. E’ chiaro che il Professore non può pensare di vincere le elezioni da solo. Ha un alto concetto di sé, ma non può pretendere di garantire da solo la governabilità. Punta a un obiettivo minore, ma sempre ambizioso. Uscire dalle urne con una forza tra il 15 e il 20 per cento dei voti, tale da garantirli la “golden share” della futura maggioranza. Non è impresa semplice, ma neppure impossibile. Basta che i centristi impediscano al Pd di ottenere una piena vittoria anche al Senato. Allora sarebbe Monti, all’indomani del 25 febbraio, a rappresentare l’ago della bilancia. Il soggetto, una volta abbattuta la logica del bipolarismo, in grado di negoziare da posizioni di forza. Puntando a un governo di larga coalizione, rigenerato con il taglio delle ali tanto a destra quanto a sinistra.
Allegria. Ci sembra di essere tornati al passato, quando eravamo giovani. Chiuse le urne e conosciuti i risultati, saremmo coinvolti in almeno un mese di estenuanti trattative per sapere quale sarà la maggioranza e su chi farà perno. L’elettore, questa volta, non solo non saprebbe chi vota, ma neppure per chi vota: quale “uso si farà “della scheda che ha deposto nell’urna. Uno scenario da brividi.