Landini: la Costituzione sia programma di governo

15 Gennaio 2013

L’intervento di Maurizio Landini al Mediolanum forum di Assago il 24 novembre scorso alla manifestazione di LeG. Vorrei raccontarvi che io la Costituzione non l’ho studiata nelle scuole, ha detto il segretario della Fiom, ho cominciato presto a lavorare, mi permetto di dire che ho avuto la fortuna di conoscere lavoratori, lavoratrici, delegati sindacali che mi hanno fatto conoscere la Costituzione esercitando quei diritti dentro i luoghi di lavoro

Ringrazio per questo invito anche perché in questi anni Libertà e Giustizia, Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky, nei momenti più importanti e più difficili che i lavoratori italiani hanno vissuto, hanno sempre avuto il modo di intervenire, di scegliere da che parte stare.

Ho imparato in questo periodo che oltre alle parole contano i fatti, troppe volte si parla e non si fa quello che si dice e invece credo che sia un punto importante anche per recuperare una coerenza e per affermare dei valori importanti come quelli della nostra Costituzione.

Vorrei raccontarvi che io la Costituzione non l’ho studiata nelle scuole, ho cominciato presto a lavorare, mi permetto di dire che ho avuto la fortuna di conoscere lavoratori, lavoratrici, delegati sindacali che mi hanno fatto conoscere la Costituzione esercitando quei diritti dentro i luoghi di lavoro e mi permetto anche di ricordare che la Costituzione nata subito dopo la guerra, in realtà per essere applicata nelle fabbriche, ha avuto bisogno di molte lotte e di molte battaglie.

Lo Statuto dei diritti dei lavoratori diventa tale nel 1970. Lì ho imparato una cosa molto importante e cioè che se ci sono dei diritti in questo paese, se ci sono dei diritti nel lavoro, è perché, oltre ad avere la Costituzione alle spalle, chi era senza diritti si è battuto per ottenerli e senza una partecipazione diretta la Costituzione, anche scritta, non sarebbe stata applicata dentro i luoghi di lavoro. Credo che sia un punto decisivo, perché oggi uno dei problemi è proprio questo, cioè il tentativo di impedire alle persone di poter esercitare le proprie libertà e i propri diritti.

Vorrei partire da questo punto perché quando sono entrato a lavorare in una fabbrica, ero un lavoratore non precario, avevo un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, avevo il diritto di fare le assemblee, avevo il diritto di scegliere il sindacato che volevo, avevo il diritto di eleggere i delegati, avevo il diritto anche di scioperare, avevo il diritto di poter contrattare e migliorare la nostra condizione dentro la fabbrica.

Oggi siamo di fronte al fatto che questi diritti, che dovrebbero essere garantiti, non lo sono più. Oggi chi va a lavorare è precario e oggi chi è precario non ha gli stessi diritti degli altri, è più ricattabile ed è pagato meno. C’è un attacco, oggi, in questo Paese, ai diritti nel lavoro che non ha precedenti.

Questo è un punto preciso, aver fatto una legge che si chiama Articolo 8 e che introduce nel nostro Paese il diritto nelle aziende di poter non solo non applicare i contratti nazionali, ma addirittura poter fare accordi tra privati che derogano alle leggi. Siamo alla messa in discussione della Costituzione, perché se la legge è derogabile, vuol dire che non c’è la legge e quando si introduce un elemento di questo genere, viene messo in discussione anche un punto di fondo, cioè che la nostra dovrebbe essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro e invece oggi molto spesso registriamo che la nostra, nei fatti, rischia di essere una Repubblica fondata sullo sfruttamento delle persone che lavorano e sulla mancanza dei diritti delle persone che lavorano. E io ho imparato che avere il diritto al lavoro è legato ad avere il dovere di fare, nel lavoro che fai, il massimo di quello che puoi fare.

Oggi su questo punto abbiamo il bisogno di fare una riflessione, perché il fatto che siano messi in discussione i diritti, il fatto che la Costituzione rischi di non essere applicata nelle fabbriche, non riguarda solo il terreno dei diritti delle persone che lavorano. Siamo di fronte anche a un rischio molto concreto: mi permetto di dire che nella politica, da destra e da sinistra, questo tema non è discusso. Oggi il problema è creare lavoro, è difendere il lavoro, offrire nuove opportunità di lavoro e difendere il sistema industriale che abbiamo nel nostro Paese. Corriamo il rischio, seriamente, nei prossimi mesi, di trovarci di fronte al fatto che interi settori industriali del nostro Paese non esisteranno più, dal settore delle auto, a chi produce gli autobus, a chi produce i treni, le navi, a chi fa la siderurgia. E voi pensate che una Democrazia, una Repubblica, un Paese possa rimanere democratico se c’è una disoccupazione che arriva al 30-40%?

Sono sinceramente preoccupato. La storia dell’Europa ci insegna che quando ci sono livelli di disoccupazione gravissimi, il rischio di svolte autoritarie è grandissimo, perché le persone quando non hanno il lavoro non solo non riescono a vivere dignitosamente, ma sono più deboli e ricattabili.

E sarebbe proprio in una fase come questa che le persone avrebbero bisogno di una Politica con la P maiuscola che difenda gli interessi di questo Paese. Mentre ho la sensazione che di questo non si stia discutendo. E non si capisce che se non si affronta questo problema, corriamo seriamente il rischio di trovarci con una bella Costituzione sulla carta ma in una situazione materiale in cui le persone non hanno la rispondenza di quello che dovrebbe essere, perché vivono sulla loro pelle che non sta succedendo ciò che è scritto sulla Carta.

Credo che sia questo il punto importante e credo importante un’iniziativa come questa fatta proprio in questi giorni e credo, citando Zagrebelsky, che “se l’applicazione della Costituzione del nostro paese diventasse il programma che chi si candida a governare vuole realizzare, saremmo di fronte ad una vera e propria rivoluzione.”

Siamo al paradosso, la FIOM viene descritta come un’organizzazione estremistica, ma quale sarebbe l’estremismo? Noi stiamo chiedendo di applicare il contratto nazionale di lavoro, stiamo chiedendo nelle fabbriche di applicare i diritti costituzionali, chiediamo che un lavoratore possa scegliere il sindacato che vuole, chiediamo che un lavoratore non sia discriminato per le sue idee e questo sarebbe estremismo?

Pensate all’opposto: quelli che oggi vengono descritti come i moderati sono coloro che hanno cancellato le pensioni, sono quelli che hanno modificato l’articolo 18 rendendo liberi i licenziamenti, sono quelli che hanno fatto l’Articolo 8 e cioè la legge fatta da Sacconi e chiesta dalla FIAT per uscire dai contratti e non applicare le leggi, sono coloro che aumentano la tassazione su chi già paga le tasse e non colpiscono la corruzione e l’illegalità. Questi sarebbero i moderati. Ma se questi moderati improvvisamente diventano radicali che cosa devono farci ancora per poter dire che siamo di fronte a una situazione che va cambiata e che va messa in discussione?

Applicare la Costituzione vuol dire cose importanti, se la guardiamo da un punto di vista economico, penso davvero che siamo di fronte ad un passaggio che rimetta al centro il lavoro, il diritto delle persone che lavorano, ma anche il cosa si produce, il perché si produce e quali finalità deve avere la produzione: questo è il punto su cui oggi dovremmo ragionare e discutere.

Siamo di fronte ad un altro passaggio. Il modello di produzione che è stato costruito in questi anni è un modello che non è più in grado di dare una prospettiva alla vita delle persone e alla vita del nostro pianeta, perché siamo di fronte a un punto nuovo con cui siamo chiamati a fare i conti, che riguarda il fatto che se tutto il mondo producesse gli stessi prodotti con le stesse tecnologie e con lo stesso modello di inquinamento che le produzioni hanno, rischiamo che il nostro sistema generale salti, non sia in grado di reggere.

La nostra Costituzione dice una cosa molto importante, certo che la proprietà è libera, ma dice anche che ci vuole una finalità sociale in quello che si fa, dice anche che quello che si produce deve essere in grado di dare la possibilità di vivere alle persone e dice anche che è possibile un intervento pubblico nell’economia per cambiare gli indirizzi e per rimettere al centro il lavoro, la democrazia e la giustizia sociale. Oggi sarebbe questo il punto e lo dico perché penso che il tema generale sia proprio quello della democrazia.

Chiudo dicendo tre cose: vorrei che tutti riflettessero su quali sono i luoghi in cui si prendono le decisioni oggi e chi le prende, su che cosa si investe, perché si investe, con quali finalità…sono forse i governi? Sono gli Stati? Sono le Nazioni? O non siamo di fronte al fatto che c’è una concentrazione del potere privato e finanziario in mano a pochi come non è mai stato nella storia dell’umanità? Non siamo di fronte al fatto che la redistribuzione della ricchezza a danno di chi lavora non è mai stata alta come adesso e non siamo di fronte al fatto che mentre chi è ricco è diventato ancora più ricco, se gli tocchi un solo suo interesse è pronto a fare la rivoluzione? E siamo all’opposto, cioè che la maggioranza di quelli che stanno male, forse perché sono abituati da sempre a fare dei sacrifici, pensano che sia sempre necessario non muoversi in una situazione di lotta di classe “al rovescio”, quelli che la stanno facendo sono quelli che stanno meglio e hanno addirittura capito che vogliono dei governi che facciano delle leggi che a loro servono. Allora davvero credo che oggi il problema della democrazia sia un problema centrale che riguardi proprio gli obbiettivi e le finalità da affrontare.

Uno dei problemi della democrazia è proprio che oggi la democrazia è negata nei luoghi di lavoro. Vorrei sottolineare questo tema anche a chi fa le primarie domani e a chi le farà a metà dicembre.

Io trovo importante che le persone possano votare, se tutti, la destra e la sinistra pensano che sia utile estendere pratiche democratiche per scegliere chi devono essere i candidati, a entrambi gli schieramenti pongo un unico problema, che i cittadini siano cittadini anche quando entrano nei luoghi di lavoro e allora si faccia finalmente una legge sulla rappresentanza che permetta alle persone che lavorano di poter eleggere i propri delegati, di poter votare i propri contratti. Se ci fosse stata una legge che introduce queste norme, la FIAT non avrebbe potuto fare quello che ha fatto e non ci sarebbero gli accordi separati esistenti, non ci sarebbe la cancellazione dei contratti perché è vero che c’è una diversità e una divisione tra i sindacati, ma siamo di fronte al fatto che non è mai stata applicata la Costituzione. Qui c’è un cambiamento che anche il sindacato deve fare, perché in Italia non c’è una legge perché i sindacati non hanno voluto che ci fosse anche una legge oltre alla volontà dei partiti. Credo che ci sia una domanda di rappresentanza e di democrazie che deve essere estesa e per ricostruire un’azione unitaria del sindacato, c’è bisogno che venga introdotta la democrazia e cioè che siano le persone che lavorano, iscritte e non iscritte che decidono quale contratto gli deve essere applicato, perché quando non succede così, non sono i sindacati che firmano gli accordi separati che decidono, sono le imprese e le controparti che di volta in volta scelgono quale sindacato gli conviene scegliere e giocano sulla divisione dei lavoratori e noi oggi abbiamo il problema di riunificare i diritti delle persone che lavorano proprio nella dimensione che veniva indicata anche dalla nostra Carta Costituzionale. La Carta Costituzionale parla dei contratti collettivi, non parla dei contratti aziendali, non parla dei contratti territoriali, parla del fatto che debbano essere diritti garantiti. Qui c’era la candidata alla regione che diceva giustamente che oggi tra uomini e donne non ci sono trattamenti uguali, ma voi pensate davvero che se passa l’idea che è dentro a quell’accordo separato che da ultimo la CGIL non ha firmato proprio con il governo Monti che l’ha voluto, che tu puoi derogare dai minimi, vuol dire che non esiste più in Italia il fatto che c’è un salario sancito da un contratto che è uguale per qualsiasi lavoratore o lavoratrice che fa lo stesso lavoro, sia al sud sia al nord, vuol dire tornare alle gabbie salariali, vuol dire tornare al fatto che la competizione non la giochi sull’innovazione, sulla qualità dei prodotti, la giochi su quanto paghi un lavoratore, su quante ore fa, su quanto lo puoi sfruttare. Vuol dire tornare indietro, non solo come lavoratori, vuol dire tornare indietro come Paese e allora oggi rimettere al centro questo tema cioè il lavoro, i diritti e la democrazia, credo che sia il tema di fondo per andare verso un’applicazione, penso davvero che questo sia anche il tema che le forze politiche con maggior forza debbano affrontare.

Faccio questo esempio: qui prima di me il Segretario del Sindacato dei Giornalisti ricordava il referendum che ci fu sull’acqua, sul nucleare, sulle leggi che Berlusconi si era fatto e che sono state cancellate e che hanno votato tante persone; io vorrei riflettere su un altro punto e cioè che alle ultime elezioni fatte in Sicilia, ha votato il 47%. Vuol dire che la maggioranza non è andata a votare.

Penso che questa sia la vera antipolitica che i politici dovrebbero porsi, perché parlando con le persone normali, molto spesso ti senti dire che non sanno chi votare e che al limite non andranno neanche a votare. Questo è il punto di recupero della rappresentanza, se le persone non recuperano la fiducia verso persone e forze politiche che devono cominciare a discutere dei problemi che le persone hanno, questo è l’elemento che si rischia di non intaccare. Sento che questo è il punto da cui dobbiamo ripartire, questo è il tema su cui ridare una credibilità e una forza che vada in questa direzione e porre in questo senso la necessità di un cambiamento molto forte.

Per fare questo bisogna tornare ai fondamentali, bisogna tornare al fatto che si debbono confrontare non semplicemente delle formule generiche, ma rimettere proprio al centro queste questioni: la democrazia, la partecipazione, il diritto delle persone di poter scegliere, ma anche il confronto concreto sui programmi e sulle cose che si devono fare ed è anche per questo che è importante battersi. La prossima settimana, mi auguro, scadono i famosi 40 giorni che il tribunale di Roma ha dato alla FIAT per far rientrare i 19 discriminati della FIOM a Pomigliano, mi auguro che la FIAT faccia rientrare quei lavoratori. Se questo dovesse succedere, non ha vinto la FIOM, ha vinto la Costituzione e ha vinto la dignità di quei lavoratori, che quando è stata attaccata proprio perché c’era la Costituzione e credevano nella Costituzione, non hanno abbassato la testa, ma hanno voluto difendere la loro dignità e i loro diritti. Questo è l’insegnamento che dovrebbe arrivare al Paese, perché quando 2 anni e mezzo fa c’erano i referndum ricattatori nei confronti di Pomigliano e Mirafiori, capite cosa vuol dire la lontananza della politica dai problemi reali? Quale concezione della democrazia può avere uno che pensa che una persona è libera di poter decidere quello che deve fare se è sotto ricatto e ti viene detto “dimmi di sì o ti chiudo la fabbrica”? E quale concezione può avere della politica il lavoratore che sente scaricato su di lui la responsabilità se esiste o no nel nostro Paese un sistema industriale? E allora io penso che questo sia il tema che abbiamo di fronte, abbiamo bisogno davvero che i giovani, le persone che compongono questo Paese, abbiano la forza e la dignità di mettersi in movimento e credo che mai come adesso noi dobbiamo rivolgerci anche alle persone che pensano che forse non è possibile cambiare niente con un messaggio: se ognuno di noi non si mette in gioco, e se di fronte alle ingiustizie grandissime che ci sono, non pensa che ci sia bisogno di ribellarsi, le cose non cambiano e oggi ribellarsi a questa situazione è un diritto costituzionale, nel rispetto della democrazia, così come fanno i lavoratori, così come devono fare i giovani. E penso che dovrebbe essere un diritto della politica, se vuole ritornare a rappresentare il Paese, di rinnovarsi e aprire lo spazio anche a persone come queste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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