Le primarie del centrosinistra sono nate come tentativo di superare le contraddizioni insanabili presenti nell’attuale, sciagurata legge elettorale: quindi, almeno in apparenza, con lo scopo di restituire ai cittadini la possibilità di scegliere effettivamente i propri rappresentanti, evitando o limitando la “nomina” da parte delle segreterie di partito, secondo criteri poco trasparenti e non condivisi, dei futuri parlamentari. Ora che i risultati sono stati acquisiti e le liste definitive presentate, è doveroso chiedersi se il meccanismo abbia davvero funzionato ovunque secondo questo auspicio o se, viceversa, siano state presenti opacità e tattiche non giustificabili, vista la premessa dalla quale, almeno in apparenza, l’intera operazione aveva preso avvio.
In realtà, l’impressione che si ha è quella di un compromesso poco lineare fra i condizionamenti pesanti di un’oligarchia non disponibile ad arretrare, nonostante la delegittimazione di cui soffre in vaste porzioni dell’elettorato, e le pressioni di quanti puntavano ad un reale segno di discontinuità, in nome della competenza, del merito, dell’autorevolezza, della novità della proposta politica. Insomma, la possibilità di essere eletti (che si traduce nella certezza di esserlo, a seconda del posto occupato nella lista definitiva) è stata su serio contendibile in tutti i territori e in ogni circostanza? Tutti coloro che si sono messi in gioco nelle primarie hanno avuto seriamente la reale possibilità di gareggiare alla pari? E gli elettori hanno avuto davvero l’opportunità di scegliere?
Quanto è avvenuto nel nostro territorio, ad esempio, sembra abbastanza indicativo. Ad uno sguardo esterno, appare evidente che la gestione delle primarie da parte della locale dirigenza del PD abbia da un lato determinato nel partito una profonda lacerazione, dall’altro abbia ulteriormente sancito il distacco dei cittadini rispetto a meccanismi di scelta per molti aspetti poco motivati e comunque chiaramente autoreferenziali. La richiesta di deroga per candidarsi da parte del sindaco Gianni Anselmi, la cui popolarità personale è molto alta sia nella cittadinanza sia fra gli iscritti al PD, è stata rigettata, in nome del rispetto delle regole (che prevedevano l’incandidabilità dei sindaci di comuni al di sopra dei 5000 abitanti): la motivazione, formalmente valida, appare debole se confrontata con quanto accaduto in altre realtà toscane, dove la deroga è stata concessa senza troppi patemi. Alla fine, molti cittadini, estranei alle logiche di potere presenti nel partito che tuttora detiene la maggioranza dei consensi, hanno avuto netta l’impressione che si trattasse di un regolamento di conti interno dai contorni estremamente sfuggenti.: il che, obiettivamente, si è tradotto in un autogol politico abbastanza evidente, sancito dal calo drastico dei votanti rispetto al precedente turno di primarie, dalla presenza significativa di voti nulli che, per protesta, indicavano il nome di Anselmi, e dalle notizie, che sono filtrate all’esterno (si sa, il paese è piccolo, la gente mormora, e poi c’è facebook), di scontri memorabili all’interno dei vari organismi dirigenti
Le quattro candidature proposte sono state frutto di una scelta di vertice, non discussa e tantomeno condivisa all’interno dei circoli. Scontata la presenza del deputato uscente Silvia Velo, già sindaco di Campiglia Marittima, che pure è stata pubblicamente oggetto di attacchi violenti, in particolare da parte del gruppo dei “renziani”. In definitiva sconcertante la scelta di Luciano Guerrieri, sindaco DS dal 1995 al 2004, attualmente Presidente dell’Autorità Portuale e Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Porti Italiani: una candidatura tutta interna al gruppo di vertice, di sicuro non indicativa di una reale volontà di cambiamento e di alternanza nei ruoli chiave della politica locale. Infine due giovani di buona volontà, l’elbano Dario Ballini, sostenitore di Matteo Renzi ma non esplicitamente indicato dal comitato renziano locale (che ha preferito non esprimere ufficialmente nessuna candidatura), e la piombinese Valentina Brancaleone, ambedue evidentemente con scarse possibilità di reale affermazione, in apparenza collocati in lista per riempire le caselle “giuste”: bisognava che fossero almeno rappresentate le istanze dei precari e dei disoccupati, del mondo LGBT, del volontariato, del territorio elbano etc etc, tanto per dare la giusta sverniciata di pluralismo e di apertura ai bisogni della società civile. Va detto che, comunque, le percentuali ottenute da Brancaleone e Ballini sono state abbastanza significative, come se una parte consistente dell’elettorato volesse dimostrare la volontà di operare una svolta: significative, sì, ma non sufficienti. Perché, naturalmente, la partita vera si è giocata tutta fra Silvia Velo e Luciano Guerrieri, con la vittoria finale della deputata uscente, grazie ai consensi raccolti a Campiglia. San Vincenzo e soprattutto, all’Isola d’Elba. In effetti l’analisi del voto mostra come i risultati siano legati in modo decisivo alle tensioni che oppongono Piombino, la città più importante della zona, al resto della Val di Cornia e all’Elba, finendo fatalmente per dichiararle e per approfondirle e quindi per costituire, in ultima analisi, un ulteriore motivo di crisi e disunione all’interno della Federazione.
Ma, oltre che con Silvia Velo, la Val di Cornia è presente in lista con un’altra candidatura eccellente, questa volta blindata: quella del segretario regionale Andrea Manciulli. Certo è che è singolare il premio conferito a chi ha spiegato l’affermazione di Renzi nella nostra regione come frutto di una scelta “campanilistica” (insomma Renzi, secondo Manciulli, avrebbe fatto il pieno in quanto fiorentino) e non come una sconfessione, di fatto, della politica del gruppo dirigente bersaniano in Toscana, gruppo dirigente di cui Manciulli è esponente di grande spicco.
In conclusione sembra che la scelta delle candidature, vuoi attraverso l’escamotage delle primarie, vuoi grazie all’imposizione di nomi eccellenti nel listino bloccato, non abbia rappresentato un reale e convincente segnale di mutamento: e le vicende locali, come quella che abbiamo cercato di raccontare, sembrano una controprova di questa affermazione. La compresenza del nuovo (la società civile da tutti evocata con sospetta insistenza) e del vecchio, ben allenato a manovre e tatticismi, porterà davvero ad un Parlamento in grado di rompere con i disastri del passato?
* L’autrice è socia di LeG Val di Cornia