La lezione di Leopoldo Elia

05 Ottobre 2012

A quattro anni dalla scomparsa di Leopoldo Elia – avvenuta il 5 ottobre 2008 – uno tra i molti modi per ricordarne il sobrio e rigoroso magistero di professore di diritto costituzionale e di uomo politico è riprendere un filone di riflessione a lui caro.
Dalla tesi di laurea fino agli ultimi scritti e interventi pubblici, Elia ha prestato particolare attenzione all’evoluzione della forma di governo francese (da lui costantemente comparata con quella italiana) e alla riflessione critica, dopo il 1958, sulla Costituzione della V Repubblica.
Spinge a riprendere qualche frammento di quella riflessione un ritorno di fiamma (l’ennesimo) per il modello semipresidenziale, che è stato inopinatamente adottato nel progetto di revisione costituzionale approvato nello scorso luglio dal Senato e cui vanno i favori anche di alcuni esponenti del Pd, oltre che di un certo costituzionalismo “nuovista” (che ritiene talmente essenziale superare l’attuale assetto costituzionale italiano da accettare uno qualsiasi dei sistemi disponibili sul mercato europeo, in una riedizione del celebre “Franza o Spagna purché se magna”).
Del sistema francese, Elia accolse le peculiarità sin dalla sua celebre “voce” sulle forme di governo pubblicata sull’Enciclopedia del Diritto nel 1970. La Costituzione gollista si caratterizzava, a suo avviso, per essere “a virtualità multiple”, capace, cioè, di funzionare, a seconda delle circostanze politico-elettorali, sia come un regime superpresidenziale, sia come sistema parlamentare razionalizzato, qualora – in quella che Duverger avrebbe definito “coabitazione” – sia la seconda testa dell’Esecutivo (il Primo Ministro) a prendere il sopravvento (come accade nel 1986-88, nel 1993-95 e nel 1997-2002): il sistema francese – scriveva Elia su queste colonne il 3 luglio 2002 – “oscilla tra fase di onnipotenza del Presidente, che anche dopo la riduzione del suo mandato a cinque anni non diventa però responsabile di fronte all’Assemblea nazionale (come il Premier inglese lo è invece di fronte ai Comuni) e la paralisi della diarchia da coabitazione”. Ma questa seconda situazione appariva ad Elia meno pericolosa del funzionamento ordinario (quello superpresidenziale) del regime francese, che egli riteneva un unicum fra le democrazie europee.
L’unicità dell’assetto costituzionale gaulliano stava nell’esistenza di “squilibri strutturali profondi”. In un articolo pubblicato su Europa il 15 gennaio 2008, Elia osservava che “il sistema francese accoppia alla stabilità del presidente statunitense i poteri del premier europeo che può far ricorso alla questione di fiducia e proporre lo scioglimento della Camera. Inoltre il presidente francese resta politicamente irresponsabile, mentre paradossalmente responsabile davanti all’assemblea nazionale rimane il primo ministro che ha poteri molto minori. In realtà il fascino di sistema gollista consiste oggi nel risolvere con l’investitura popolare il problema di un potere esercitato per un quinquennio senza effettivi controlli: prospettiva che potrebbe attrarre qualche imitatore italiano”.
Non sembra che i limiti ora evocati siano scomparsi con la riforma costituzionale voluta da Sarkozy nel 2008 per “riequilibrare” le istituzioni della V Repubblica, all’insegna della ripalarmentarizzazione della sua forma di governo e della sottoposizione della legge ad un controllo di costituzionalità più moderno di quello introdotto nel 1958. La critica di fondo di Elia – la V Repubblica è un sistema istituzionale poco equilibrato – resta valida anche quattro anni dopo la sua scomparsa. Così come la sua convinzione che la strada delle riforme costituzionali in Italia debba seguire la via della razionalizzazione del regime parlamentare, su linee tedesche o spagnole, senza immettere nel sistema costituzionale quell’elemento imponderabile – quasi un virus – rappresentato dall’elezione diretta del Presidente della Repubblica (mentre resta prezioso il ruolo di garanzia e di “riserva” di un Presidente non eletto a suffragio universale).
Lo notava Elia e resta vero anche oggi: le altre costituzioni semipresidenziali europee (ad eccezione della Russia di Putin, che non pare però un gran bell’esempio) si sono gradualmente evolute verso assetti di tipo neo-parlamentare. Dove ciò non accade (da ultimo in Romania, una delle più infelici imitazioni consapevoli della V Repubblica) lo scontro fra Presidente e parlamento e l’autoritarismo sono alternative sempre aperte. Il semipresidenzialismo francese resta a suo modo un unicum: non è affatto detto che agli italiani la sua imitazione riesca meglio che ai romeni.

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