Nove mesi. E’ quanto ci vuole per produrre un essere umano. Ma non sono bastati ai partiti per produrre una riforma della legge elettorale. Anzi, di tempo a disposizione, in questo caso, il Parlamento ne ha avuto di più perché è da un anno, da quando cioè oltre un milione di firme vennero raccolte per abrogare il Porcellum, ma la Corte costituzionale dichiarò il referendum inammissibile, che si discute invano di come varare una buona riforma. A questo punto, ancora nove mesi mancano, all’incirca, perché si arrivi alla naturale conclusione della legislatura, e il governo avrebbe un’agenda assai impegnativa da riempire. E’ difficile pensare, però, che possano essere proficuamente impiegati. Perchè il tempo scorre, e lo stillicidio continua. Come conferma, anche il braccio di ferro sul pacchetto di provvedimenti anti-corruzione, che mette a rischio la stessa tenuta della maggioranza. Già la stessa parola, “anti-corruzione”, ha fatto venire sempre l’orticaria al grosso del centrodestra. Figuriamoci ora che sulla scena è tornato Silvio Berlusconi, rilanciando, fortissima, la sua influenza sul Pdl. Non a caso, per approvare il testo del governo, i suoi uomini chiedono in cambio norme sulle intercettazioni e sulla responsabilità dei giudici.
La legge elettorale sintetizza ormai un metodo che alimenta l’incomprensione e il disinteresse dei cittadini per la politica: un’eterna melina a centro campo, come si direbbe per una partita di calcio, fino a quando non si arriva ai tempi supplementari. Eppure, dopo la nascita del governo dei “tecnici”, l’itinerario sembrava tracciato. Monti era chiamato a rimettere in piedi l’economia. I partiti a mettere ordine e chiarezza al proprio interno, così da provare a riacquistare almeno una parte della credibilità perduta. Il primo passo di questo processo avrebbe dovuto essere, per le forze politiche, una riforma elettorale capace di riannodare il filo spezzato tra eletti ed elettori. Nulla di tutto questo. Si è andati avanti tra inghippi, furbizie, incroci sempre più cervellotici. Un giorno l’accordo sembra prossimo, il giorno dopo svanisce. E si ricomincia daccapo. L’orizzonte della riforma è come una fisarmonica: si estende e si riduce a seconda degli interessi in campo. E, a un certo punto, non è facile capire neppure di che cosa si discuta. Premio di maggioranza, ma in che misura? Attribuito alla coalizione o al partito? Ritorno alla proporzionale, ma preferenze o collegi uninominali? E se poi ci scappasse, ciliegina sulla torta, la combinazione delle preferenze con un listino a candidature bloccate?I margini di incertezza, sugli strumenti tecnici, sono molti. Ma il punto d’arrivo politico è allarmante: la riconsegna ai partiti del potere assoluto di costruire alleanze a loro piacimento dopo il voto. Sarebbe il ritorno agli scambi di potere della prima Repubblica, con l’aggravante che i partiti di allora erano più autorevoli, e con ben altra legittimazione popolare, di quelli odierni. Alla fine, si delinea uno scenario da brividi: una legge che non garantisce a nessuno la possibilità di governare e che renderebbe pressoché obbligatoria la nascita di un governo di Grande coalizione. E’ l’obiettivo palese dei centristi di Casini. Però, è anche il vero progetto di Berlusconi, consapevole di non poter vincere, ma risoluto a non uscire di scena.
Intendiamoci: la Grande coalizione non è sempre il male assoluto. E’, piuttosto, una possibilità estrema di cui si servono, in situazioni eccezionali, i sistemi politici dotati del giusto grado di flessibilità, e capaci quindi di riconoscere i superiori interessi nazionali. Ma con questa prospettiva non ha nulla in comune l’odierno gioco di bussolotti, la triste fiera strapaesana alla quale stiamo assistendo. Avremmo, infatti, un sistema elettorale che esalterebbe l’odierna frammentazione dell’opinione pubblica e la stessa debolezza dei partiti. Certo, non si può pretendere di cancellare con un colpo di penna le esigenze delle diverse forze politiche. Ma la riforma del sistema elettorale non può essere il terreno per riprodurre il proprio potere e le proprie rendite di posizione. Come ricordava Ilvo Diamanti, la legge elettorale è “il fondamento non unico, ma comunque necessario, della democrazia rappresentativa, anello di congiunzione tra elettori, partiti, Parlamento e governo”. Come tale, è anche l’espressione di un’idea di Paese. La soluzione sta quindi nella politica, non nei possibili marchingegni tecnici. Cosa che fin qui non è accaduta. E che disperiamo possa accadere mentre si alternano gli intrecci più oscuri. Alla fine, l’indecente Porcellum sarà in qualche modo cambiato. Ma un parto che va oltre il tempo debito mette in allarme. Non vorremmo, in conclusione, che il nuovo soggetto nascesse con metodi truffaldini. E che medici, privi d’ogni scrupolo, facessero spuntare un incrocio mostruoso. Una sorta di Frankenstein. Prolungando il grande imbroglio. Un sistema scellerato.
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