A proposito di riforme

24 Maggio 2012

Pubblichiamo l’articolo di Lorenza Carlassare. La situazione prevista nel testo che è in discussione al Senato si va aggravando per l’ultima proposta di Berlusconi: rifare tutta l'”architettura costituzionale” offrendo al Pd un’intesa sul presidenzialismo alla francese. Vecchia bandiera della destra italiana e della P2 poi vessillo di Bettino Craxi. Berlusconi non smentisce mai i suoi antenati e i suoi numi tutelari.
Ci paiono invece molto interessanti le proposte di rafforzamento della democrazia rappresentativa elencate da Michele Ainis sul Corriere della Sera: controllo degli elettori sugli eletti con la revoca anticipata dei parlamentari immeritevoli; divieto di un terzo mandato; iniziativa legislativa popolare vincolante con referendum propositivo e abbattimento del quorum in quello abrogativo.
Cominciamo da lì. (s.b.)

Pubblichiamo l’articolo di Lorenza Carlassare dal sito dell’AIC (Rivista telematica giuridica dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti). Nel frattempo la situazione prevista nel testo che è in discussione al Senato si va aggravando per l’ultima proposta di Berlusconi: rifare tutta l'”architettura costituzionale” offrendo al Pd un’intesa sul presidenzialismo alla francese. Vecchia bandiera della destra italiana e della P2 poi vessillo di Bettino Craxi.  Berlusconi non smentisce mai i suoi antenati e i suoi numi tutelari.
Ci paiono invece molto interessanti le proposte di rafforzamento della democrazia rappresentativa elencate da Michele Ainis sul Corriere della Sera: controllo degli elettori sugli eletti con la revoca anticipata dei parlamentari immeritevoli; divieto di un terzo mandato; iniziativa legislativa popolare vincolante con referendum propositivo e abbattimento del quorum in quello abrogativo.
Cominciamo da lì. (s.b.) 

1. – È un momento adatto per riformare la Costituzione? E se sì, per quali riforme?
Che il momento non sia adatto è evidente: la rappresentatività già scarsa di un Parlamento composto da persone non scelte dagli elettori è ora praticamente azzerata dalle ultime elezioni che hanno registrato la lontananza dal corpo sociale di un organo ‘rappresentativo’ dominato ancora da una maggioranza sconfessata dagli elettori, ma determinante ai fini di ogni decisione. Che un organo così composto possa legittimamente cambiare le regole della Costituzione è perlomeno dubbio. Tanto più che dovrebbe farlo in fretta, perché il suo tempo (fortunatamente) è quasi scaduto.
Ma c’è – si ripete – un’emergenza istituzionale che preme e non consente indugi; l’urgenza dunque si impone. Ma rispetto a quali riforme? La risposta è sicura: la crisi è dei partiti e degli uomini (e si riflette poi sulle istituzioni). E infatti la domanda che sale, talora in forme demagogiche che non ne eliminano la fondatezza, riguarda da un lato l’esigenza di pulizia, trasparenza, regole chiare; dall’altro l’esigenza di ridare voce al popolo sovrano, ormai totalmente emarginato. Considerato il tempo breve della legislatura, la politica dovrebbe dunque concentrarsi sulla riforma della legge elettorale, del finanziamento ai partiti, delle norme anti corruzione. Riforme urgenti davvero, delle quali lo stesso Capo dello Stato ha invocato la sollecita approvazione, e agevoli da introdurre; non toccando la Costituzione si fanno con legge ordinaria. L’unica riforma costituzionale urgente, secondo opinione diffusa, riguarda la riduzione del numero dei parlamentari. Non c’è però soltanto questo nel progetto di riforma costituzionale presentato il 18 aprile. E addirittura, mentre la legge elettorale, la legge anti corruzione, la legge sulla regolamentazione del finanziamento ai partiti vanno a rilento (l’accordo non c’è, si manifesta anzi l’ostruzionismo del PDL), con le riforme costituzionali si procede in buona armonia, tutti d’accordo nell’approvarle con la maggioranza dei due terzi così escludendo il popolo in maniera totale. Non solo dall’esprimere, in un ampio dibattito nel paese il proprio orientamento in merito, ma impedendogli di bloccare riforme sgradite mediante il referendum (come nel 2006).

2. – Poiché le Costituzioni sono fatte per durare e ogni loro modifica normalmente risponde alla necessità di rimuovere difficoltà di funzionamento riscontrate nel sistema, è logico chiedersi quale sia l’obiettivo perseguito dai promotori delle modifiche ora in discussione; di quali gravi inconvenienti avvertiti negli ultimi decenni nel funzionamento del sistema si vogliano eliminare le cause.
Guardando la nostra quotidiana realtà, senza dubbio il primo e più grave problema costituzionale da tutti denunciato è la progressiva mortificazione del Parlamento. La scena politica da molti anni è stata dominata da decisioni del Governo o addirittura del solo Presidente del Consiglio, assunte persino in luoghi estranei al normale svolgersi della vita istituzionale e/o con la partecipazione di soggetti esterni, poi supinamente ratificate da un Parlamento asservito.
Non è necessario soffermarsi su cose ripetute. A descrivere la situazione basta ricordare come Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, ha qualificato le Assemblee rappresentative del popolo ‘sovrano’: “un Parlamento di figuranti”, tenuto a votare secondo istruzioni.
Ammesso che la ‘mortificazione’ parlamentare fosse causata da norme costituzionali inadeguatamente formulate, il primo obiettivo della progettata riforma dovrebbe essere dunque restituire dignità e potere alle Assemblee. Invece no, l’obiettivo del progetto di riforma presentato il 18 aprile è in primo luogo il rafforzamento del Governo anche se – si dichiara – insieme al rafforzamento del Parlamento.
Di rafforzare ulteriormente il Governo non mi pare si sentisse il bisogno. Viceversa questo è l’evidente obbiettivo dell’art. 9 del progetto – “La mozione di sfiducia deve essere approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due Camere” -, destinato a rendere più difficile raggiungere il numero di voti richiesti per sfiduciare il governo. Che il nostro problema fosse la facilità eccessiva di provocare in sede parlamentare la caduta del Governo e fosse perciò necessario porvi rimedio, pare difficile da sostenere. Il nostro gravissimo problema era esattamente l’opposto. La difficoltà di costringere il governo alle dimissioni mediante il voto di sfiducia, anzi l’impossibilità di sfiduciarlo, è risultato evidente a tutti. È difficile dimenticare l’Italia paralizzata da una crisi insolubile, con il governo Berlusconi agonizzante ma inamovibile.
L’azione congiunta di due frutti perversi della legge elettorale – il premio di maggioranza che regalando ai vincitori seggi in più rispetto a quelli corrispondenti ai voti ricevuti mette il Governo al riparo da ogni attacco, e il facile acquisto di deputati ‘responsabili’ designati dai partiti senza il vaglio degli elettori – rendevano inutile ogni tentativo di sfiduciarlo.
Di fronte ad un progetto che intende rafforzare ulteriormente la posizione del Governo si resta increduli; sembra di assistere alla rappresentazione di una realtà capovolta, di un mondo diverso da quello reale. E non è solo la maggioranza assoluta richiesta per l’approvazione della mozione, ma anche il numero di parlamentari necessario alla sua presentazione (un terzo anziché un decimo) insieme alla convocazione del Parlamento in seduta comune, a trasformare in evento difficile e straordinario quello che, in un sistema parlamentare, dovrebbe essere un ricambio fisiologico.
L’unica proposta del tutto condivisibile per ‘rafforzare’ la posizione del Presidente del Consiglio è quella relativa al comma 2° dell’art. 92 dov’è espressamente menzionato il potere di revoca dei ministri con decreto del Capo dello Stato su proposta del Presidente del Consiglio. Opportuno è, di certo, esplicitarlo, visto che i politici stentano a ritenerlo esistente (dando luogo alle acrobazie incredibili del ‘caso Mancuso’ per conseguire il medesimo effetto) nonostante la dottrina ne abbia da tempo confermata l’esistenza, a partire da Serio Galeotti (io stessa ne ho parlato negli scritti dedicati a questo Maestro e altrove).

3. – Se guardiamo indietro, ai molteplici progetti di revisione presentati nel tempo, constatiamo subito che rafforzare il governo è stato sempre il sogno dei nostri ‘riformatori’! Anche nel presentare il testo attuale l’intento viene espressamente dichiarato nella presentazione, insieme, si afferma, all’intento di avere anche un Parlamento ‘forte’.
Come si pensa di rafforzare il Parlamento? In primo luogo riducendo il numero dei suoi membri, cosa certamente opportuna (il Senato degli Stati Uniti, di soli cento membri, è un organo potente e efficace) oggi assai popolare e richiesta, sia pure per ragioni differenti (in primo luogo legate al risparmio di spesa).
Se questa è una soluzione da approvare, la delusione è però immediata: la riduzione è assolutamente irrisoria. I deputati diventano 508 anziché 630, i senatori elettivi 254 anziché 315! Di fronte ai cento sentori americani viene da sorridere!
Ma le delusioni non sono finite: la “circoscrizione estero” rimane, otto deputati e quattro senatori. Non era proprio questo uno degli inconvenienti, da tutti riscontrato, cui si doveva porre rimedio? Basta esercitare di nuovo la memoria e concentrarla su quelle nobili figure!
Di certo non per rafforzare il Parlamento, ma piuttosto il Governo si modifica l’art.72 consentendo al primo di chiedere che un disegno di legge venga “iscritto con priorità all’ordine del giorno” e sia votato entro un termine determinato, trascorso il quale, il Governo stesso può chiederne l’approvazione senza emendamenti. E se l’altra Camera cui viene trasmesso “entro quindici giorni non delibera di disporne il riesame” il disegno di legge “si intende definitivamente approvato”.
Rendere più veloce il procedimento legislativo può essere opportuno, non però a costi troppo elevati: bisogna vedere quale sia il termine, altrimenti annullando il dibattito si vanifica la funzione parlamentare. Una votazione senza emendamenti impoverisce il confronto, impedisce l’apporto migliorativo possibile e soprattutto la considerazione complessiva degli interessi coinvolti. Anche a questo proposito l’esperienza italiana degli ultimi decenni ha palesato semmai la tendenza opposta: all’approvazione rapidissima di leggi volute dal Presidente del Consiglio, talora per interessi propri e contingenti. L’elenco di tali leggi e dei loro tempi di approvazione è lungo e ben conosciuto. Persino l’indegna legge di revisione della Costituzione, bocciata dal popolo nel 2006, ha potuto essere approvata in tempi assi brevi. Da un ‘Parlamento di figuranti’, appunto. Come si vede, nella sostanza, torniamo sempre alla legge elettorale.
Se poi si unisce la modifica dell’art.72 a quella già menzionata dell’art. 94 che rende ancor più difficoltoso sfiduciare il Governo, l’obiettivo vero della revisione costituzionale appare ancora (e soltanto) quello di sempre: mettere al sicuro il Governo e liberarlo da ogni ‘impaccio’ costituzionale, mortificando la rappresentanza e gli elettori che la esprimono. Non è un caso che l’accordo di tutti sulla legge elettorale (che forse non si farà) sia nel senso di non lasciare scelte ai cittadini riguardo ai candidati proposti dai partiti. Un gravissimo errore politico (oltre che un affronto alla democrazia) in un momento in cui dalla base sociale sale sempre più forte la richiesta di partecipazione.

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