Quando Gustavo Zagrebelsky mi ha invitato per questo compleanno di Libertà e Giustizia ho aderito volentieri, sia perché ci sono molti amici qui stasera, ma anche perché io che non sono bravo a fare proclami, comizi, a parlare per progetti e programmi, cerco piuttosto di riflettere sulle cose. LeG l’ha sempre fatto, come se questi incontri fossero delle officine, dei momenti di scambio, anche quando non la si pensa allo stesso modo, qui c’è la possibilità di confrontarsi e discutere, di portare riflessioni piuttosto che imporre o proclamare soluzioni.
C’era una frase di Piero Calamandrei (paragonare il berlusconismo al fascismo è ovviamente impensabile), ma questo pensiero l’ho trovato molto attuale, Calamandrei scrive: “fra le tante distruzioni di cui il passaggio della pestilenza fascista è responsabile, si dovrà annoverare anche quella non riparabile in pochi anni, del senso della legalità. Per 20 anni il fascismo ha educato i cittadini proprio a disprezzare le leggi, a far di tutto per frodarle e per irriderle nell’ombra”.
Questo meccanismo mi sembra molto attuale, nel senso che considerare la legge un freno, considerare la legge qualcosa che, soprattutto se sei un imprenditore blocchi la crescita, considerare il rispetto della legge un gioco da moralisti o da ipocriti, è l’eredità più forte del berlusconismo.
La riflessione da fare è questa: studiando i meccanismi che riguardano il capitale mafioso, le organizzazioni criminali, mi preme dire che la legge sulla corruzione è fondamentale, si è atteso sin troppo, questo governo deve farla, questo governo che risulta prezioso perché ci porta via dal berlusconismo, cerca e riesce – sembra – a salvarci dal default, questo governo deve fare la legge anti-corruzione.
La legge anti-corruzione introdurrebbe anche la corruzione tra privati, che è un reato riconosciuto nelle democrazie occidentali (in Svezia, in Gran Bretagna, perfino in Grecia) tranne che in Italia.
C’è una grande ansia in chi osserva l’operato di questo governo: la paura che sia sotto ricatto dall’ex maggioranza, il Pdl, cioè che si debba toccare tutto tranne la giustizia e la RAI. La paura che questo accada mette ansia a chi osserva il percorso di riforme, per questo credo che riconoscere questa pressione e interloquire con questo governo in relazione a queste due cose, sia la legittimità quotidiana che si può dare a questo governo.
Le leggi anti-mafia sono declinate tutte sulle persone, sull’omicidio, sul racket, sull’associazione, sul concorso esterno, ma molto poco sui capitali; il capitale criminale è centrale in questo momento di crisi, quando c’è crisi le mafie vincono, non perché puntano i fucili o fanno saltare le auto, ma perché hanno liquidità, quello che più manca.
Ci sono tutta una serie di reati intorno al riciclaggio che vengono considerati come reati non mafiosi, quindi percepiti come minori, come se la corruzione fosse un problema morale e quindi ascrivibile al problema individuale. La corruzione è un problema gigantesco, sociale, mette le mani nelle tasche, ci rovina la quotidianità e il modo di stare al mondo. L’occasione che ha questo governo è incredibile, il ministro Cancellieri si è più volte espressa a favore di un’attenzione prioritaria alle organizzazioni mafiose, ma è importante che non si consideri il problema mafioso uno dei problemi, ma il problema e la legge anti-corruzione non può che essere un capitolo fondamentale del contrasto al potere criminale.
In tutto questo la riflessione sulla RAI potrebbe rientrare nella misura in cui il merito, la voglia di poter immaginare un Paese dove si raggiunge l’obiettivo per merito indipendentemente dalla propria posizione politica, immaginare un’Italia dove il talento venga criticato, valutato, riconosciuto potrebbe partire dall’azienda pubblica più visibile, la RAI, dove alla sua direzione possa esserci una persona meritevole, selezionata per il talento, la capacità, non per la vicinanza politica.
Quindi la riflessione che si fa su questo governo, sul percorso che sta facendo, non può che andare in questa direzione, cioè cercare di capire quali siano le pressioni, i retaggi che subisce, quale sia il clima del Paese, se davvero il berlusconismo è finito, cosa ha lasciato, quali sono gli obiettivi, soprattutto cosa succede se i processi non si chiudono con condanne, ma potrebbero essere trampolini per un rientro politico.
Il progetto, ed è qui che sento la necessità di Libertà e Giustizia, è che dobbiamo iniziare un percorso di ricerca per immaginare un Paese nuovo che romperà con la vecchia Repubblica e ne inizierà una nuova.
Questo non può che passare anche attraverso lo sguardo sui finanziamenti pubblici ai partiti, uno snodo centrale: le mafie non si contrastano soltanto con i maxi blitz, il termine mafie è forse troppo generico, non è mafioso soltanto colui che ha sparato, soltanto colui che fa parte dell’associazione, soltanto colui che si è riunito e ha organizzato qualcosa, la complessità dell’organizzazione criminale è molto più vasta. Un mafioso non si sente mafioso, si sente un imprenditore con delle regole e considera la legge un freno al profitto, la legge per lui è un vincolo. Tutto questo entra in relazione con i finanziamenti ai partiti quando vengono date masse di denaro, senza che ci possa essere un controllo.
Brevemente faccio riferimento a ciò che sta accadendo negli USA dove è stato riconosciuto che il problema economico ha aperto letteralmente il capitalismo americano al capitalismo criminale. Il governo di Obama ha percepito il problema come nessuno aveva fatto prima e questo è stato mal percepito in Europa dove l’attenzione mediatica alla crisi economica non fa vedere più altri problemi. L’estate scorsa è stato emesso un ordine esecutivo chiamato 13581, un numero che negli Stati Uniti fa tremare le organizzazioni: questo ordine permette che si congelino immediatamente i capitali che vengono sospettati di essere capitali criminali. Il governo americano ha fatto questo perché terrorizzato che i tempi della giustizia potessero essere troppo lenti rispetto alla velocità dei capitali criminali. Quest’ordine ha cercato di fermare strutture forti: la Yakuza giapponese (la mafia giapponese con 8o0mila affiliati), la prima organizzazione che è intervenuta con lo tsunami quando il Giappone ancora non sapeva come intervenire; Los Zetas (i narcotrafficanti messicani); il Circolo dei Fratelli (un gruppo russo), chiamato anche “i ladri dentro la legge”, dato che il loro meccanismo è quello di portare danaro legale e illegale. L’ultimo gruppo contro cui è stato fatto quest’ordine è la Camorra, quindi un gruppo italiano che viene percepito come pericolo principale per la democrazia americana.
E’ tardi, bisogna intervenire sui capitali criminali, bisogna dare come messaggio al Paese che i 160 miliardi di euro l’anno (è il fatturato delle organizzazioni criminali confermati dalle Procure) devono essere aggrediti in maniera immediata, forte, nuova per dare la percezione alle persone che non si chiede soltanto al loro stipendio e alla loro vita un sacrificio.
Il motivo per cui quando c’è un problema economico si va sulle pensioni o sui salari è la domanda che tutti ci poniamo: la risposta è semplice, il danaro costruito con i flussi del narcotraffico, con gli appalti, con l’evasione è un danaro che si muove velocissimo, non è percepibile né rintracciabile. In una situazione di default quel danaro non esiste e nel tempo disponibile a costruire leggi o forme per aggredirlo, quel danaro è già perso.
La legge anti-corruzione individua il danaro fatto col lavoro, lo protegge dal danaro fatto col crimine, con l’infrazione e che va a scoraggiare e distruggere il lavoro. Quando si discute di lavoro e di chiudere le fabbriche non si può prescindere da questo.
Un’ultima questione americana che vale la pena di citare: c’è una banca (LCB – Banca Candese-Libanese) che ha fatto affari con il narcotraffico, ha riciclato soldi importanti e l’ordine esecutivo 13581 ha impedito a questa banca di fare affari sul territorio americano.
Molte banche italiane hanno trattato con le organizzazioni criminali e quando una banca fa questo deve assumersi le proprie responsabilità, non può semplicemente uscirsene con una multa o rispondere che queste organizzazioni non erano note alla loro attenzione.
Concludendo, i finanziamenti ai partiti devono essere resi finalmente chiari: se ci sono dei privati che finanziano i partiti devono essere evidenti, le persone devono poter capire quanto e perché è stato dato, per poi decidere se votare o no quel partito che è stato finanziato da un gruppo non condiviso.
In merito al ritorno all’autorevolezza della politica, c’è voglia che la politica sia qualcosa di diverso quindi sono contento che si sia ribadito in maniera profonda che le categorie generali (il parlamento, i politici) fanno paura. C’è differenza tra chi ha votato a favore di Cosentino e chi no, tra un politico criminale e un politico incapace.
Sull’alta velocità, indipendentemente dalle posizioni che si possono avere su quel cantiere, la riflessione sull’infiltrazione mafiosa non è una questione morale, ma non è mai successo che in un solo cantiere le mafie non si siano infiltrate. Non è pensabile ragionare non osservando questo, cioè che le strutture vincono quando possono proporre un appalto a basso costo, in tempo veloce, possibilmente al meglio e al prezzo migliore; vincono l’appalto, hanno un certificato anti-mafia spesso in Lombardia o in Piemonte e dopo 5 anni ci si accorge che erano finanziate dalle organizzazioni criminali. Loro vincono perché sono i migliori purtroppo. C’è un detto anglosassone che dice “il migliore arriva ultimo”, il percorso da fare è il contrario: se si torna ad immaginare e a sperare che il migliore arrivi primo, il Paese inizia a cambiare.
Il più grande privilegio che esiste in questo Paese è quello che ha il danaro sporco, la possibilità di muoversi e riciclarsi; il privilegio del danaro sporco è il privilegio che aggredisce il lavoro, distrugge i talenti, impedisce la concorrenza.
Concludo con una frase di Sandro Pertini che si ricollega al fatto che il privilegio del danaro sporco è il privilegio che distrugge l’impegno individuale che può permettere a una persona di realizzarsi e, perché no, di essere anche più felice: “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul privilegio, sul lavoro”.
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