Il nuovo anno è iniziato con molti timori e una raffica d’aumenti. Vola il prezzo della benzina, costano di più gas e luce. Sono rincari che si potevano mettere in preventivo. Ma è difficile spiegarlo a quanti hanno difficoltà a pagare bollette, affitto, mutui. E dunque temono di dover affrontare un anno peggiore di quello che ci siamo lasciati alle spalle. Gli esperti valutano i dati: l’andamento delle borse, le oscillazioni dello spread, i sintomi di miglioramento del fabbisogno statale. Ma sta di fatto che l’area del disagio si allarga. Si moltiplicano i segnali di disuguaglianze economiche e di disgregazione sociale. Un quarto della popolazione, come ci ha avvertito l’Istat, si trova in condizioni di povertà o di rischio di povertà. Il debito pubblico è “un macigno pesante”. Si impongono tagli alla spesa pubblica. Si impone una riforma del Welfare. Necessariamente dobbiamo percorrere una strada in salita. Che richiede sacrifici. Ma il pericolo è che i sacrifici di oggi appaiano inutili. E che cada ogni residua fiducia nella possibilità di una ripresa.
I prossimi passaggi del governo sono assai ardui, a cominciare dal tavolo per il lavoro.. Monti dovrà mostrarsi più coraggioso. Dovrà scrollarsi l’immagine di un governo che apre la strada alla recessione. E’ una fotografia ingiusta che gli è stata appiccicata addosso dall’opposizione, soprattutto dalla Lega, ma che anche settori della maggioranza, sul versante del centrodestra, hanno contribuito ad accreditare. Il presidente del Consiglio deve difendersi da due fuochi. Da una parte, quello internazionale. Al prezzo di pesanti sacrifici, il governo ha riconquistato un suo ruolo sulle scenario europeo. Ma ora è venuta la fase in cui bisogna farlo pesare. Non ci si può accodare al treno franco-tedesco, c’è una visione strategica della leadership europea da recuperare, come ha avvertito il presidente della Repubblica.. L’altro fuoco viene dall’instabilità interna. Dall’anomala maggioranza che lo sostiene. Era impensabile che, dopo anni di feroce contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, potesse nascere per incanto una sorta di unità nazionale. Ma bisogna pur trovare un punto d’equilibrio tra l’obiettivo massimo e la situazione presente che si fonda su un’intesa vaga e indecifrabile. Le forzature, in questa fase, sono rischiose. Ma il governo deve giocare le sue carte. Mettere alla prova, dal lato del centrodestra, quell’area moderata che non ha seguito fino in fondo la deriva berlusconiana. Ce ne sono le condizioni? Sarebbe un importante segnale di svolta.
Non crediamo che possa servire allo scopo la teoria delle cosiddette maggioranze “bilanciate”. In una parola: le liberalizzazioni d’intesa col Pd, la riforma del mercato del lavoro col sostegno del Pdl. Sarebbe un esercizio – i due maggiori partiti accontentati da una parte e scontentati dall’altra – d’alta acrobazia, ma più che mai illusorio. Già le prime reazioni ne stanno mostrando la precarietà. Sappiamo quanti mal di pancia provochi al Pd, e al suo elettorato di riferimento, il tema del lavoro perché, se è vero che i cambiamenti si impongono e non si può stare solo a difesa dell’esistente, è altrettanto vero che chiedere sacrifici, se non c’è una prospettiva per il lavoro, è profondamente iniquo. Sta di fatto comunque che i primi secchi altolà sono venuti dagli uomini più legati a Berlusconi. E questo sul fronte delle liberalizzazioni, agitando il pericolo di uno sbilanciamento dell’esecutivo a vantaggio del partito di Bersani. Certo, questa maggioranza è “strana”. I partiti hanno le loro pesanti responsabilità. Ma i fatti ricordano a chi volesse fare confusione che centrodestra e centrosinistra sono due realtà ben diverse.
Le difficoltà del momento consigliano cautela. Tuttavia, dovrebbe essere evidente che il vecchio cabotaggio politico è ormai impossibile. Le riflessioni delle forze politiche possono essere favorite delle scelte del governo. E’ importante, quindi, il segnale che verrà da Monti e dai suoi ministri. Ma, per stare al tema del lavoro, che è il più caldo, non sembra un buon punto di partenza l’idea di procedere attraverso incontri bilaterali con le forze sociali, secondo il metodo adottato, col passato governo, dal ministro Sacconi. E’ significativo che le reazioni contrarie non siano venute solo dalla Cgil. E’ chiaro che c’è bisogno di scelte tempestive. Anche la “vecchia” concertazione va quindi aggiornata, ma non svuotata di ogni significato. C’è bisogno di una trattativa seria che metta al centro occupazione, giovani, meriti, bisogni, equità sociale, diritti. Di una verifica all’insegna della massima trasparenza.