Signor ministro,
il governo Monti ha una legittimità piena, ma indiretta. Riscuote la fiducia del Parlamento, ma i ministri, non essendo parlamentari, sono privi del viatico elettorale. Questa condizione, inevitabile nell’emergenza, accentua il dovere
di essere trasparenti.
Un titolare dello Sviluppo e delle Infrastrutture, che prima faceva il banchiere, può dover prendere decisioni che coinvolgono le sue passate scelte professionali.
Lei non è azionista di rilievo di Intesa Sanpaolo. Ha ragione di negarsi al paragone con l’ex premier, azionista di riferimento di una grande impresa, Mediaset, regolata dalla legge. Non di meno l’opinione pubblica vuole essere tranquilla sul fatto che le decisioni del governo servano sempre l’interesse generale. Il suo non è dunque un conflitto d’interessi pesante, a radice patrimoniale, ma un conflitto più leggero, di tipo manageriale. E tuttavia chi si è scottato teme anche l’acqua tiepida. Lei e i suoi colleghi abbandonerete i consigli di amministrazione, è ovvio. Ma il Corriere guarderà anche ad altro. Senza pregiudizi né sconti.
Nell’agosto 2006, Giovanni Bazoli disse che Intesa Sanpaolo sarebbe stata la Banca del Paese, non certo una Goldman Sachs. Poi, con Generali e Mediobanca, entrò in Telecom Italia per evitare che Telefonica ne diventasse padrona. Mario Monti paventò un «governo occulto» delle banche, contigue alla politica. «Parole infelici», commentò lei. Ora Monti l’ha chiamata al governo, archiviando quel dissenso. E le deleghe che le ha assegnato fanno supporre che, dopo il salvataggio della finanza occidentale a spese dei contribuenti, si sia un po’ ricreduto. Del resto, quando una banca riunisce attivi pari al 40% del Pil, si lega al progresso generale del Paese e deve avere il senso della misura. Resta che le singole scelte dell’ex banchiere andranno giudicate una per una, in special modo se rimontano alla vita precedente.
Alitalia, per esempio. Intesa ha lavorato per il governo Berlusconi che aveva azzerato la cessione ad Air France preparata dal governo Prodi. Tre anni dopo, la ristrutturazione aziendale è fatta. E tuttavia la società non è in grado di remunerare il capitale investito. L’operazione tripartita su Telecom, pur criticabile sul piano finanziario, ha evitato al Paese di perdere la presa su una grande impresa strategica, che può crescere. Alitalia ha conti diversi. Logica vorrebbe che Air France l’assorbisse, e amen. Il governo Monti considererà Alitalia un campione nazionale su cui intervenire?
Ntv-Nuovo trasporto viaggiatori. Alta velocità. Intesa è azionista e finanziatrice dello sfidante delle Fs-Ferrovie italiane dello Stato. In ritardo sulle tabelle di marcia, e dunque a rischio di sforare i covenant, ovvero le clausole contrattuali di garanzia, che tutelano la banca creditrice, Montezemolo e Della Valle accusano Moretti di infilare i bastoni del monopolio tra le ruote di Italo, il loro treno. Il signor Frecciarossa sostiene che i due, spalleggiati dal monopolio ferroviario francese, hanno commesso errori operativi. Aggiunge che mollerà l’infrastruttura quando anche Parigi lo farà e darà le stesse aperture dell’Italia. Ecco un bel tema per il ministro delle Infrastrutture e anche per il premier, che con l’interim dell’Economia è l’azionista unico di Fs.
Parentesi sindacale: Alitalia e Fs chiedono l’adozione di contratti di lavoro nazionali. Ammettono intese migliorative aziendali, ma non la giungla e il dumping sociale di oggi. Linee aeree low cost e Ntv si oppongono. Marchionneggiando. Da che parte starà il ministro del Welfare, Elsa Fornero, già vicepresidente di Intesa? Qui, e sul fronte Fiat di cui la banca è storica creditrice?
Per finire, il rapporto con Banca d’Italia. Negli anni berlusconiani, tra governo e Banca centrale c’è stata una profonda e pericolosa diffidenza. Con il doppio cambio della guardia si potrebbe ritrovare la fiducia e voltare pagina. Due emergenze impellenti lo richiedono. La prima è la revisione delle disposizioni dell’Eba (European Banking Authority) su come le banche devono contabilizzare i titoli di Stato. Ne vengono penalizzate sia le banche sia il Tesoro. La seconda emergenza sono gli aumenti di capitale delle banche, ormai inevitabili.
Da sempre le banche vorrebbero vendere alla Banca d’Italia le quote di capitale della medesima, che detengono senza guadagnare come del resto è giusto che sia. Governatore Mario Draghi, si era arrivati vicini a un accordo che avrebbe procurato al sistema bancario 8-10 miliardi creando, al tempo stesso, un mercato delle quote sotto la ferrea supervisione di via Nazionale. Enrico Salza, ai tempi banchiere in Intesa, aveva proposto un modo per girare anche alle altre banche parte del beneficio, concentrato al 42% su Intesa Sanpaolo e al 22% su Unicredit. Un’idea lungimirante e generosa. Che oggi, dati i tempi, potrebbe piacere meno a Ca’ de Sass. L’ombra di Tremonti, che si temeva potesse approfittarne per ledere l’indipendenza della Banca centrale e, magari, sottrarle patrimonio, fermò tutto. Ma nell’autunno 2011?
Di questo passo, mentre si riparla di privatizzazioni, si corre il rischio di sacrificare senza un disegno gran parte delle fondazioni bancarie, alleate del governo nella Cassa depositi e prestiti, e poi, ove non bastasse, di dover nazionalizzare le banche. A parlare con la Banca d’Italia sono di solito il premier e il ministro dell’Economia, ma nel Comitato interministeriale per il credito e il risparmio siede anche il ministro dello Sviluppo. Che viene dall’unica banca non obbligata ad aumentare il capitale.
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