E ora che accade? Una tempesta finanziaria, di portata superiore a tutte le previsioni, si è abbattuta sul Paese. Lo spread vola a livelli mai raggiunti. Siamo all’allarme rosso. Manca poco per trovarci nella stessa condizione della Grecia, è l’allarme lanciato dalla Confindustria. Dunque, Berlusconi è caduto, è crollato il muro di Arcore. Ma la “via crucis” continua. Non siamo ancora all’ultimo atto: il collasso del governo è stato differito. Il premier ha annunciato che si dimetterà subito dopo l’approvazione della legge di stabilità, con le misure aggiuntive chieste dalla Comunità europea. Però, questo non basta a rassicurare i mercati, il quadro politico resta precario. Dal Quirinale è venuto un nuovo, forte ammonimento a fare presto perché, per ogni giorno perso, si aggravano i problemi. Ma c’è una domanda che pesa: che cosa accadrà da qui al varo della legge? Nulla fa pensare che, giunto alla fine del suo regno, il Cavaliere abbia rinunciato ad avvelenare i pozzi. Farà terra bruciata, cercherà di guadagnare tempo per far decadere l’ipotesi che più teme, quella che lo porterebbe a uscire fuori definitivamente da Palazzo Chigi: la nascita, vale a dire, di un governo di responsabilità nazionale, in condizione, sotto una guida autorevole, di recuperare la fiducia generale, non solo quella dei mercati, e di cambiare la legge elettorale.
In linea teorica, si potrebbero bruciare i tempi. Il Pd si è detto disponibile ad assicurare la massima celerità, fino ad arrivare all’approvazione della legge di stabilità entro domenica. Ma il problema è che queste misure ancora non sono pronte. Quando lo saranno e in che modo verranno predisposte? Verranno sfrondate da quelle norme, di natura ideologica più che di portata pratica, che rendono difficile concordare un percorso con l’opposizione? Nel tempo che ha a disposizione, Berlusconi può lavorare a rendere le cose più difficili. Cercherà di fare esplodere i problemi ancora insoluti tra il Terzo polo e il centrosinistra. E, del resto, i primi scricchiolii si avvertono, con Di Pietro che tende a smarcarsi dall’intesa tra Bersani e Casini. Se arriva fino a dicembre, può ipotecare le elezioni a febbraio e contare di gestirle, ancora lui, da Palazzo Chigi. Con una forsennata campagna elettorale, e magari giocandosi la carta Alfano. Non c’è bisogno di fare ricorso ai retroscena per conoscere il pensiero berlusconiano. Che è stato in più occasioni ripetuto:”Dopo le dimissioni, vedo solo le elezioni”. Nel frattempo, la paralisi si fa insostenibile. Crescono i costi in termini economici e di credibilità politica.
Può essere motivo di conforto la fermezza del capo dello Stato. Napolitano ha imposto una tempistica rigida. Non accetta perdite di tempo. E non rinuncia al tentativo di salvare la legislatura. Ha precostituito il percorso della crisi: darà la “massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata nelle elezioni del 2008, come di quelle dell’opposizione”. Insomma, uscito di scena Berlusconi, potrebbe nascere un governo di ricostruzione economica e politica. Ma non è una strada lungo la quale fioriscano le rose. Un esecutivo di questo tipo avrebbe bisogno di un largo concorso di forze. Non basterebbe l’autorevolezza del personaggio chiamato a guidarlo. Oggi, una vera maggioranza alternativa ancora non la vediamo. Certo, non bastano le defezioni fin qui registrate all’interno del Pdl. Ci vorrebbe che una parte importante del centrodestra decidesse di staccarsi dal suo leader.
Di fatto, non ci sono ipotesi intermedie. L’alternativa è secca: governo di responsabilità nazionale o elezioni. Andare al voto sarebbe assai meglio se, per tenere in vita la legislatura, si dovesse fare ricorso a cattivi compromessi. Forse servirebbe a dare maggiore certezza ai cittadini e ai mercati. Ma abbiamo una pessima legge elettorale, e, con le elezioni alle porte, è difficile pensare di poterla cambiare. Con il “Porcellum” avremmo ancora un Parlamento di nominati dalle segreterie dei partiti, e non sarebbe semplice programmare un orizzonte temporale di lungo periodo. Il centrosinistra da solo, senza il Terzo polo, vincerebbe alla Camera, ma sarebbe alquanto improbabile lo stesso risultato al Senato con la lotteria dei tanti premi regionali. Il berlusconismo al suo epilogo lascia il Paese a galleggiare tra le macerie. In un clima politico sempre più avvelenato.