Un’altra Italia. Non è cosa scontata eppure è possibile e si è intravista mercoledì pomeriggio a Trieste.
A prospettarla è S. B., un signore in età, giacca e cravatta, conscio del ruolo che ricopre, delle calibrate parole che pronuncia eppure dotato di fine umorismo anche se tratta di un tema grave come la Costituzione, nell’incontro dell’11 maggio nato su iniziativa del circolo triestino di Libertà e Giustizia insieme con l’Istituto Gramsci del Fvg.
Sono i suoi due più giovani colleghi, Paolo Giangaspero e Flavia Dimora, docenti di Diritto Costituzionale all’università cittadina che si rivolgono scherzosi al loro maestro Sergio Bartole, professore emerito, apostrofandolo talvolta con le iniziali del suo nome che evocano il Premier, nel corso della lunga carrellata pomeridiana su “La Costituzione italiana come limite al potere. Difendiamola!”.
Per la verità, non è nemmeno che il professor Bartole immagini un’altra Italia da promuovere con un’altra Costituzione, perché trova ben fatta quella realizzata con perfetta calibratura dai padri costituenti all’indomani della fine della seconda guerra mondiale e della caduta del fascismo, dato che “la Costituzione è di tutti, offre un limite e salvaguarda le posizioni dei singoli” e ciò facendo rappresenta “uno strumento a disposizione dell’intera collettività, delle cui tutele tutti traggono vantaggio”. Si chiama democrazia.
Anche i politici che vorrebbero manipolarla, o gli ignavi che si limitano a cavalcare l’onda della deriva ne stanno traendo beneficio, proprio questi giorni in cui fervono comizi e dibattiti pubblici nel centro città trasformato in un condominio di gazebo, in una lotta all’ultimo volantino, tra incursioni di parlamentari già felicemente approdati al Palazzo ma in corvée elettorale in una Trieste forse finalmente stanca della sua immobile prudenza. Ma questo lo sentenzieranno le incombenti elezioni amministrative.
E se Bartole, Giangaspero e Dimora espongono, con prudenza accademica sì ma non senza passione, il principio della divisione dei poteri, la salvaguardia degli interessi collettivi e non di una singola parte, le prerogative della Corte Costituzionale come organo indipendente che vigila e limita il potere, indicano chi questo potere poi è preposto a giudicarlo, le funzioni del presidente della Repubblica come garanzia di moderazione e unità nazionale, il pubblico -incredibilmente folto per un’occasione di certo non ludica- in chiusura della conferenza alla Stazione Marittima sottopone i docenti a quesiti talvolta ingenui ma rivelatori di una tensione assai più che partecipe.
Disfare lo Stato invece di farlo funzionare bene, far prevalere l’interesse dei più forti, negare il valore delle regole invece che imporne il rispetto a cominciare dalla propria persona, snaturare le leggi esistenti invece di scrivere quelle giuste e applicarle, si evince dall’incontro con i tre costituzionalisti, porta l’Italia alla deriva. E quando, un’unica volta, il professor Bartole usa la parola “teatrino della politica”, non sorride più.