Mancava solo la scuola pubblica

01 Marzo 2011

Di una cosa almeno dobbiamo ringraziare Berlusconi: ci ha dimostrato che l’attacco alla Costituzione sarebbe incompleto senza includere la scuola pubblica. Per questo occorre porre la scuola pubblica come un tema centrale nella battaglia del 12 marzo. Nel segno di Piero Calamandrei. // I prof della scuola di Stato orgogliosi di inculcare la Costituzione

Nelle aggressioni del presidente del Consiglio a tutto ciò che è pubblico, che non si limitano mai alle esternazioni verbali, mancava ancora il tema della scuola. Le forze progressiste italiane hanno spesso sottovalutato la rilevanza istituzionale e sociale del tema della formazione, lasciando che di ciò si occupassero prevalentemente gli “addetti ai lavori”; chi pensa che ciò sia stato un grave errore deve oggi ringraziare Berlusconi, che ci ha dimostrato come l’attacco alla Costituzione sarebbe incompleto se esso non comprendesse il ruolo della scuola pubblica.
Le reazioni dell’opposizione sono state, questa volta, pronte. Quella del capogruppo Pd alla Camera, Dario Franceschini, che per primo ha proposto una risposta di massa, con una grande manifestazione di specifico sostegno alla scuola pubblica, è particolarmente importante; Franceschini viene infatti dall’esperienza della Democrazia Cristiana, e per la prima volta dopo molti anni viene esplicitata – su un tema particolarmente caro alle gerarchie ecclesiastiche – una forte differenziazione dell’area cattolico-democratica  rispetto alle istanze clericali incautamente riproposte dal presidente.
In qualche momento del passato questa differenziazione ci fu; alcuni risultati alti del riformismo italiano nel settore educativo sono stati raggiunti quando le istanze della cultura progressista laica hanno trovato non dei compromessi purchessia, bensì terreni di confronto serio, e perciò proposte comuni, con quelle aree del cattolicesimo democratico che scelgono di puntare sul rafforzamento della scuola di tutti, convinte che i propri valori devono entrare in un dialogo pluralista e non rinchiudersi in enclaves confessionali. Il maggior successo, che ha cambiato la storia sociale dell’Italia, è stata la Scuola Media del 1962, ma anche l’istituzione della Scuola materna statale (a conclusione di violenti contrasti con chi difendeva il monopolio ecclesiastico nel settore) porta il segno di quella stagione. Si riconduce a nomi importanti di entrambe le aree la costruzione, poco dopo, di innovativi modelli di programmazione scolastica; purtroppo a causa di successivi momenti involutivi ne è stata scarsa l’implementazione concreta, e di ciò ancor oggi paghiamo rilevantissimi prezzi (la diffusione del precariato ne è la conseguenza più grave, ma non la sola).
In epoche più recenti le posizioni si sono confuse. L’arrendevolezza con la quale la sinistra ha accettato di mescolare pubblico e privato in un ambiguo “sistema nazionale di istruzione” ha tagliato le gambe proprio ai cattolici democratici: come potevano questi prendere le distanze dalle pretese del Vaticano e dei vescovi, se non lo facevano i laici? La risposta a Berlusconi del presidente della CEI, Bagnasco, tesa proprio a valorizzare l’indistinto insieme di tutte le scuole, è emblematica: agli interessi che le gerarchie ecclesiastiche difendono non conviene rilanciare la contrapposizione tra scuola pubblica e scuola privata.
La diversa risposta che dobbiamo dare noi non si deve perciò limitare a denunciare la devastazione che Berlusconi-Tremonti-Gelmini hanno provocato nel sistema scolastico: vanno rilanciati i valori della scuola di tutti, primi tra questi il pluralismo e il pensiero critico. Non tutto è perduto: i tentativi della Lega Nord di inserire elementi di localismo e di chiusura etnica, quando non proprio di razzismo, finora non hanno avuto successo. Ma siamo stati costretti a posizioni di difesa.
Il rilancio deve vedere una forte attenzione alle idee di fondo. Porre la scuola pubblica come un tema centrale nella battaglia del prossimo 12 marzo per la valorizzazione dei principi costituzionali si ricollega alle lucide enunciazioni di un maestro, Piero Calamandrei. Rileggiamole e cerchiamo di trarne le debite conseguenze.

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