Umana e italiana la debolezza del premier

28 Gennaio 2011

Combattuto tra curiosità e fastidio, il pubblico domanda: come, dove, quanto? I magistrati chiedono: chi e quando? La sesta domanda, invece, non arriva: perché? Perché Silvio B. si comporta così? Perché un uomo così importante, un capo di governo, si circonda di cortigiani e ancelle? La risposta più semplice potrebbe essere: gli piace. Non tanto il sesso, che a una certa età presenta le sfide dell’alpinismo, quanto l’approvazione e le sue tre sorelle: ammirazione, adulazione, adorazione. La coreografia descritta dalle partecipanti ha qualche punto in comune con altre situazioni gradite al padrone di casa: convegni con giovani sostenitrici adoranti, cerimonie paratelevisive, notti brasiliane e dacie russe, ville sarde e università brianzole in festa. Silvio B. mostra i tratti di un narcisismo nucleare. Vuol essere applaudito e apprezzato. Uno dei motivi per cui detesta i giornalisti – se non nella versione addomesticata e aziendale – è questo: le domande antagonistiche sono prove di non-amore. Insopportabili. L’esibizionismo nazionale – lo stesso che spinge alla nevrosi della «bella figura» – viene portato alla temperatura di fusione e produce energia. Quella che serve per rinunciare al sonno, alla prudenza, al buon senso; che induce a utilizzare le proprie televisioni come esca e ricompensa; che spinge a candidare, elevare e proteggere giovani donne per meriti estetico-sessuali; e a difenderle oltre ogni logica. Quella che permette di non vedere il lato grottesco di una vicenda che Giampaolo Pansa su Libero, dopo una lunga introduzione assolutoria, definisce «la goduria di un regista di film trash, capace di scovare gli eredi di Bombolo, di Alvaro Vitali, delle Ubalde sempre calde, travestite da infermiere, da professoresse, da poliziotte». L’uomo solo nel night-club, protagonista di tanto cinema e abbondante letteratura, cerca la stessa cosa. La ricostruzione artificiale della festa, il complimento e la lusinga, la parodia del corteggiamento, la prevedibile tentazione, l’illusione del fascino a pagamento. La debolezza di B. è umana e italiana: non per questo veniale, considerate le modalità, il ruolo e le caratteristiche – anche anagrafiche – delle protagoniste. Ma c’è qualcosa di familiare in questa spasmodica ricerca di approvazione, i cui sintomi – ben noti in azienda e nel partito, dove Silvio B. è rispettivamente «il dottore» e «il presidente» – sono diventati di dominio pubblico due anni fa. Non per colpe dei magistrati o dei giornalisti: ma di un’imprudenza, clamorosa e rivelatrice. La partecipazione alla festa del diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, nella periferia di Napoli, mostrava i segni di un esibizionismo parossistico. Lo stupore negli occhi dei presenti: ecco a cosa non ha saputo resistere, l’uomo ricco e potente, quella sera. La proiezione dei viaggi, degli incontri e dei successi del padrone di casa – ad Arcore, a Palazzo Grazioli – è un’altra prova dello stesso fenomeno. Alcuni uomini hanno bisogno di un pubblico per funzionare. Se non lo trovano, lo acquistano. C’è un po’ di Tiberio (raccontato da Svetonio) e un po’ di Hugh Hefner (immortalato da Playboy) in questa vicenda. Così s’appannano gli imperi: tra feste, mollezze e tentativi di fermare il tempo, con artifici che il tempo ci ha insegnato a conoscere. Famiglie, interessi e successi professionali non bastano più. Occorrono adulatori, ammiratrici, cantanti e una scenografia insieme spettacolare e malinconica, soprattutto perché studiata per sconfiggere la malinconia. Silvio B. è un uomo solo. Lo capirà appena perderà il potere: i prezzi aumenteranno, gli amici diminuiranno. Chi gli vuole bene dovrebbe dirglielo: ma forse è tardi. Combattuto tra curiosità e fastidio, il pubblico domanda: come, dove, quanto? I magistrati chiedono: chi e quando? La sesta domanda, invece, non arriva: perché?
Perché Silvio B. si comporta così? Perché un uomo così importante, un capo di governo, si circonda di cortigiani e ancelle? La risposta più semplice potrebbe essere: gli piace. Non tanto il sesso, che a una certa età presenta le sfide dell’alpinismo, quanto l’approvazione e le sue tre sorelle: ammirazione, adulazione, adorazione. La coreografia descritta dalle partecipanti ha qualche punto in comune con altre situazioni gradite al padrone di casa: convegni con giovani sostenitrici adoranti, cerimonie paratelevisive, notti brasiliane e dacie russe, ville sarde e università brianzole in festa. Silvio B. mostra i tratti di un narcisismo nucleare. Vuol essere applaudito e apprezzato. Uno dei motivi per cui detesta i giornalisti – se non nella versione addomesticata e aziendale – è questo: le domande antagonistiche sono prove di non-amore. Insopportabili.

L’esibizionismo nazionale – lo stesso che spinge alla nevrosi della «bella figura» – viene portato alla temperatura di fusione e produce energia. Quella che serve per rinunciare al sonno, alla prudenza, al buon senso; che induce a utilizzare le proprie televisioni come esca e ricompensa; che spinge a candidare, elevare e proteggere giovani donne per meriti estetico-sessuali; e a difenderle oltre ogni logica. Quella che permette di non vedere il lato grottesco di una vicenda che Giampaolo Pansa su Libero, dopo una lunga introduzione assolutoria, definisce «la goduria di un regista di film trash, capace di scovare gli eredi di Bombolo, di Alvaro Vitali, delle Ubalde sempre calde, travestite da infermiere, da professoresse, da poliziotte». L’uomo solo nel night-club, protagonista di tanto cinema e abbondante letteratura, cerca la stessa cosa.

La ricostruzione artificiale della festa, il complimento e la lusinga, la parodia del corteggiamento, la prevedibile tentazione, l’illusione del fascino a pagamento.
La debolezza di B. è umana e italiana: non per questo veniale, considerate le modalità, il ruolo e le caratteristiche – anche anagrafiche – delle protagoniste. Ma c’è qualcosa di familiare in questa spasmodica ricerca di approvazione, i cui sintomi – ben noti in azienda e nel partito, dove Silvio B. è rispettivamente «il dottore» e «il presidente» – sono diventati di dominio pubblico due anni fa. Non per colpe dei magistrati o dei giornalisti: ma di un’imprudenza, clamorosa e rivelatrice.

La partecipazione alla festa del diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, nella periferia di Napoli, mostrava i segni di un esibizionismo parossistico. Lo stupore negli occhi dei presenti: ecco a cosa non ha saputo resistere, l’uomo ricco e potente, quella sera. La proiezione dei viaggi, degli incontri e dei successi del padrone di casa – ad Arcore, a Palazzo Grazioli – è un’altra prova dello stesso fenomeno. Alcuni uomini hanno bisogno di un pubblico per funzionare. Se non lo trovano, lo acquistano. C’è un po’ di Tiberio (raccontato da Svetonio) e un po’ di Hugh Hefner (immortalato da Playboy) in questa vicenda. Così s’appannano gli imperi: tra feste, mollezze e tentativi di fermare il tempo, con artifici che il tempo ci ha insegnato a conoscere. Famiglie, interessi e successi professionali non bastano più. Occorrono adulatori, ammiratrici, cantanti e una scenografia insieme spettacolare e malinconica, soprattutto perché studiata per sconfiggere la malinconia. Silvio B. è un uomo solo. Lo capirà appena perderà il potere: i prezzi aumenteranno, gli amici diminuiranno. Chi gli vuole bene dovrebbe dirglielo: ma forse è tardi.

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