“Dobbiamo tornare alla politica, quella vera. Una certa idea di apertura alla società civile ci ha portato i Calearo e gli Scilipoti”
Quando ho letto questa risposta di D’Alema alla domanda su quale fosse la missione del PD, ho finito la lettura dell’intervista su L’Unità e iniziato a scrivere questa lettera.
Perché faccio parte della “società civile”.
Di un’associazione, Libertà e Giustizia, che come altre s’impegna per aumentare la consapevolezza dei cittadini, perché il Paese soffre da tempo di una siccità informativa, che genera disinformazione e indifferenza, l’humus ideale per il populismo.
Organizziamo incontri con esperti, andiamo nelle scuole con i magistrati per far amare la nostra Costituzione; nelle piazze e nei mercati per fare quella che un tempo si chiamava “contro-informazione” scrivendo volantini in modo chiaro, così che anche le persone più semplici possano capire che la politica non è una faccenda di pochi, ma di tutti.
In questa azione di supporto ai partiti – che riteniamo un patrimonio costituzionale della democrazia – ci mettiamo tempo e impegno.
Non abbiamo mai chiesto niente, convinti che fare qualcosa per migliorare il nostro Paese sia giusto e basta.
Ma chiedo a lei, On. D’Alema, di non mancare di rispetto a quanti svolgono volontariato politico nella “società civile”; di non considerarla ancora qualcosa di separato dai partiti e da cui guardarsi, perché da lì arrivano i traditori.
No, onorevole D’Alema. Questo è troppo.
Se lei non ha previsto il danno che avrebbe provocato questa sua frase, credo che la sua sensibilità politica sia insufficiente ad ampliare il consenso del PD.