Inizia con un richiamo all’attualità della protesta nelle scuole, con la citazione di striscioni come “Cogito, ergo occupo” il convegno fiorentino dal titolo Società e Stato nell’era del “berlusconismo” (segui la diretta Twitter) . Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia, apre i lavori della tre giorni dedicata allo studio degli effetti del berlusconismo su economia, cultura e modi di vivere nell’Italia degli ultimi vent’anni. Nella biblioteca delle Oblate, gremita di pubblico, dopo il saluto di Gabriele Turi, direttore di Passato e Presente che con LeG ha ideato e organizzato il convegno, Sandra Bonsanti cita Tacito: “Abbiamo perso la voce, avremmo potuto perdere anche la memoria”. È la frase che ha letto su uno degli striscioni dei licei che protestano contro la riforma della Gelmini. “Può capitare anche alla società civile – è la considerazione – siamo qui invece per tenere viva la memoria, per ricordare e approfondire”.
E un discorso sensato sul berlusconismo non può che partire dal più recente passato: Gianpasquale Santomassimo dell’Università di Siena si addentra negli anni ’80 per rintracciare l’humus dal quale è nato l’Italia di oggi. Tra elogio del disimpegno, edonismo e individualismo spinto agli eccessi, Santomassimo ripercorre segni e simboli dell’era di Craxi, “che molti vogliono indicare come il riferimento più diretto a Berlusconi, quasi il Giovanni Battista che anticipa il Messia”. Scorrono nella memoria le pubblicità di moda in quel decennio, il consolidarsi della tv privata, i protagonisti della vita politica e, parallelamente, la campagna per le riforme che dai programmi politici invade la società. È a quel punto, dice Santomassimo, “che si affaccia di prepotenzal’idea che la Costituzione debba essere cambiata, perché inquinata dal comunismo, nemico giurato del socialismo craxiano”.
Quando tocca a Paul Ginsborg salgono in cattedra i ceti medi, “ai quali Berlusconi riserva solo schiaffi, smantellamento della scuola, degrado della cultura e calo del potere d’acquisto”. “L’eredità più dannosa di Berlusconi – insiste Ginsborg – è il contributo alla divisione dei ceti medi, aumentando l’incomunicabilità”. Dall’idea della discesa in campo, dice , s’insinua la logica che “pubblicità e programma siano la stessa cosa”.
Poi è la volta di Francesco Garibaldo (già direttore dell’Istituto per il Lavoro) che esamina welfare e politica economica nell’era del Berlusconismo. “Redditi, esportazione, investimenti, pensioni, disoccupazione e crisi creano una situazione particolarmente pesante”, dice. “La crescita dell’Italia è nettamente inferiore alla media della zona euro nell’ultimo decennio”.
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