Trentaquattro anni fa Franco Salvi, partigiano cattolico delle Fiamme Verdi in Valle Camonica e carissimo amico di mio padre fin dai tempi dell’università, venne a trovarlo. Li incontrai rientrando a casa in un pomeriggio pieno di sole; chiacchieravano, passeggiando su e giù nella via sotto casa nostra. Papà mi spiegò poi che Moro aveva incaricato Salvi di chiedergli se fosse disposto ad essere candidato come membro laico del CSM. Erano le scelte della “nuova DC” di Moro e Zaccagnini: due suoi candidati al CSM, Conso e mio padre, erano noti più come giuristi cattolici che per una pregressa militanza politica, anche se qualche mese prima mio padre aveva accettato d’impegnarsi con la DC nel consiglio comunale di Roma.
Fra i candidati proposti dalla DC ce n’era anche un altro che, invece, incarnava il limite opposto: anche lui giurista di fama, era un democristiano a tutto tondo, a 22 anni vicesegretario della DC fiorentina, poi consigliere comunale e membro del comitato regionale DC e, in seguito, presidente di numerosi enti pubblici e non. Questo identikit era piuttosto la regola che l’eccezione per i membri “laici” del CSM; i quali, spiegava mio padre, erano voluti dal Costituente proprio perché facessero da ponte con il mondo politico e le istituzioni rappresentative, evitando che la magistratura diventasse (si diceva in quegli anni) un “corpo separato”. Nessuno scandalo, quindi, che questi esperti fossero spesso organicamente collegati alla politica. Anche nel seguito, del resto, abbiamo avuto ottimi membri laici e vicepresidenti, da Giovanni Galloni a Luigi Berlinguer a Virginio Rognoni, fino a Nicola Mancino, tutti con un forte impegno parlamentare alle spalle.
Il fatto notevole era semmai che nel 1976, mentre scoppiava lo scandalo Lockheed; mentre la magistratura, nell’occhio del ciclone fra tangenti bombe e terrorismo, era (anche allora) accusata di essere inefficiente e politicizzata; mentre la DC era accusata di tutti mali dell’Italia, essa includeva fra i propri candidati al CSM alcuni intellettuali d’area anziché puntare esclusivamente su fedelissimi. Mio padre prese tempo per decidere; temo di averlo entusiasticamente incoraggiato. Alla fine accettò, e fu anche eletto vicepresidente. Se non avesse accettato sarebbe, forse, ancora vivo.
Al dolore per la sua morte si aggiunse, l’anno successivo, l’orrore: del nuovo vicepresidente del CSM, il democristiano a tutto tondo di cui parlavo prima, stimato da tutti e designato all’unanimità come successore di mio padre, lessi sui giornali (mentre ancora lavoravo negli USA) che, insieme all’allora giovane membro togato Caliendo e ad un altro membro togato del CSM, aveva fatto pressioni sul procuratore di Milano tentando (invano) di fargli restituire il passaporto a Calvi. Lo provavano alcuni appunti compromettenti di Licio Gelli, ritrovati insieme alle liste P2 a Castiglion Fibocchi.
Mi fa una certa impressione, oggi, trovarmi a votare come deputato per i membri laici del CSM. Sento la grande responsabilità alla quale ci richiama il Presidente della Repubblica. Sogno partiti politici che anche oggi, in tempi non meno difficili di allora, sappiano esprimere candidati di alto profilo professionale e morale, dei quali il Paese possa andar fiero; o, almeno, candidati dei quali il Paese non debba, domani, amaramente vergognarsi.
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