Un passo indietro, imposto al governo. Il neoministro Aldo Brancher si è dimesso. E ha annunciato questa decisione in una dichiarazione fatta dinanzi al tribunale milanese, chiamato a giudicarlo, come imputato per ricettazione e appropriazione indebita, nel processo sullo scandalo della Banca Antonveneta. Questa conclusione era in buona parte prevista. Berlusconi si era ormai convinto della necessità di sacrificare quello che, all’interno di Forza Italia, era definito il suo “scudo umano”, il funzionario Fininvest capace di restare in cella a San Vittore, sotto l’accusa di falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti, per tutelare i capi dell’azienda. Ma la scelta di promuoverlo da sottosegretario a ministro – “ministro del nulla”, secondo la definizione dei suoi ex confratelli paolini di “Famiglia cristiana”, perché “nulle” sono risultate le sue deleghe, mai comparse sulla “Gazzetta Ufficiale”- si è rivelata disastrosa per la maggioranza. Brancher, del resto, ha subito svelato i giochi, e, con l’annuncio di volersi servire del legittimo impedimento, si è fatto il più clamoroso degli autogol. E’ vero che siamo sotto il governo berlusconiano e che i ministri, grazie al lodo Alfano, si debbono considerare irresponsabili quale che sia la loro fedina penale. Ma una promozione a spron battuto, alla vigilia dell’udienza, per potersi servire di questa scappatoia, era un po’ troppo. Anche qualche settore della maggioranza ha trovato difficilmente sopportabile questa indecenza istituzionale. Berlusconi ha fatto i suoi conti, e ha convinto il senatore della necessità del sacrificio. In questo modo, ha cercato di disinnescare una delle mine poste sulla strada del governo in questa settimana di fuoco. Giovedì sarebbe, infatti, andata in discussione in Parlamento la mozione di sfiducia presentata dal Partito democratico e dall’Italia dei valori, e la maggioranza avrebbe rischiato di deragliare, vista la contrarietà della minoranza finiana a dare, col suo voto, la solidarietà a Brancher.
Tuttavia, sul tavolo di Berlusconi restano altri dossier di difficile soluzione. C’è la manovra economica, che incontra ogni giorno nuovi ostacoli, compreso il pressing opposto dalle regioni del centrodestra. C’è la questione, sempre più esplosiva, della legge anti-intercettazioni. E c’è lo scontro con Fini, che si intreccia strettamente con questa legge, avendo deciso, il presidente della Camera, di condurre sul tema delle intercettazioni la sua battaglia per la legalità. Le previsioni convergono nel ritenere che si sia ormai al regolamento dei conti tra Berlusconi e Fini. Di sicuro, questa volta, il Cavaliere non andrà all’appuntamento con il ramoscello d’ulivo. Ma il suo interlocutore non intende fare passi indietro, tanto più che ritiene la conclusione del caso Brancher una sua vittoria, i cui effetti possono ripercuotersi anche sulla legge per le intercettazioni, inducendo il premier, quanto meno, a una pausa di riflessione. Si troverà, alla fine, un compromesso accettabile per entrambi oppure si andrà alla soluzione estrema, vale a dire, la rottura del sodalizio, e ciascuno per le sua strada?
Le ipotesi si accavallano, lasciando larghi spazi al dubbio. Molte cose, in ogni caso, rivelano la debolezza e la frustrazione di Berlusconi che vorrebbe apparire convinto e rassicurante e si manifesta, invece, stanco, irritabile, frastornato. Il suo protagonismo si avvale delle compiacenze dei tanti cicisbei di turno, pronti a offrigli le tv a reti unificate. Però lui appare ripetitivo, retoricamente bolso. La fiction va regolarmente in onda. Ma non convince. Tuttavia, non c’è da indulgere nei facili autocompiacimenti. Le crescenti difficoltà possono spingere il Cavaliere verso l’azzardo. E, a questo punto, i limiti della decenza politica, e della stessa legalità costituzionale, potrebbero essere superati. Ecco perché è necessaria un’opposizione rigorosa, che non ceda agli estremismi, ma non si perda neppure nei tatticismi degli eterni giochi di palazzo e incalzi il governo sulle sue responsabilità, compresa l’odierna pagliacciata. E’ meglio guardarsi dalle fughe in avanti. E lavorare a ricostruire un fronte del centro sinistra, finalmente capace di rappresentare una seria alternativa, avendo individuato leadership, programmi e idee.