Berlusconi: “È infernale governare rispettando la Costituzione”. Il presidente del Consiglio all’assemblea di Confartigianato: “visto da dentro è un inferno: non è che manchino le intenzioni o buoni progetti, ma è l’architettura costituzionale che rende difficilissimo trasformare progetti in leggi concrete”.
A meno di 24 ore dall’attacco lanciato dall’assemblea di Federalberghi, il capo del governo torna ad attaccare la Carta repubblicana. Non è una novità: LeG ha documentato con il Libretto nero dei diritti perduti tutti i colpi inferti alla Costituzione da questo governo nei primi due anni di legislatura.
A qualcuno è sembrato esagerato il nostro tono allarmistico. Abbiamo usato parole come golpe e colpo di stato. Ma il presidente del Consiglio, in Italia, giura sulla Costituzione. E anche Silvio Berlusconi lo ha fatto: più volte. Forse doveva dirlo prima di giurare che questa Carta non gli piaceva; forse, adesso che lo ha detto così chiaramente, qualcuno in Parlamento gli chieda conto.
Ci permettiamo però di ricordare al presidente del Consiglio che la nostra Costituzione piace almeno a quel 53,6 per cento degli aventi diritto al voto che con il referendum del 2006 ha detto No al progetto di riforma costituzionale che voleva modificare 53 dei 139 articoli della carta, riscrivendola secondo i principi della Casa delle Libertà.
“Quelle del presidente del Consiglio sono parole in libertà, gravissime e senza misura – dice Valerio Onida, predsidente emerito della Corte costituzionale – ora bisognerà fare attenzione ai fatti”.
Il premier è anche tornato sul progetto, caro a Tremonti, di cambiare l’articolo 41 della Costituzione per azzerare le autorizzazioni necessarie ad aprire un’impresa: “Vogliamo arrivare a un nuovo sistema in cui non si debbano chiedere più permessi, autorizzazioni, concessioni o licenze”, ha detto, definendo i controlli previsti dalla Carta “una pratica da Stato totalitario, da Stato padrone che percepisce i cittadini come sudditi”.
Per Lorenza Carlassare, costituzionalista, è una giusta proposta quella di chiedere che il presidente del Consiglio risponda delle sue affermazioni in Parlamento, secondo lo strumento previsto dall’articolo 62 della Costituzione.