“Se dovessi acclarare…”. L’ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, non acclara. Almeno per ora. Non c’era miglior sede, per farlo, cioè per risalire all’ignoto (a sentir lui) benefattore che avrebbe messo 900 mila euro per l’acquisto della casa con vista Colosseo, che andare dai magistrati di Perugia. Del resto era stato lo stesso Scajola, ben prima delle dimissioni, ad annunciare la sua decisione di chiarire la vicenda di fronte all’insistenza delle opposizioni; sarebbe andato prima alla Procura di Perugia il 14 maggio e, successivamente, si sarebbe presentato davanti alle Camere per riferire.
L’appuntamento in Parlamento è ovviamente svanito, a dimissioni presentate. Ma quello con i magistrati non è mai stato smentito. Invece, Scajola ci ha ripensato. Niente colloquio con gli investigatori nella sua veste di “persona informata dei fatti”. Il viaggio a Perugia non si farà. L’avvocato dell’ex ministro ha spiegato che la convocazione come “persona informata dei fatti” sarebbe praticamente una finzione. Perché, evidentemente, conoscendo le carte e la versione del suo assistito, teme che i magistrati pongano delle domande troppo imbarazzanti.
Scajola non si sente “garantito”. E perché mai? Se ha le carte in regola, se effettivamente può dimostrare di non saper nulla della ingente dazione ottenuta per la sua abitazione romana, perché non si libera di questo fastidiosa situazione? Cosa impedisce all’on. Scajola di raccontare la sua versione? Forse teme che i magistrati potranno “acclarare” qualcosa di strano?
In ogni caso, quando ha intenzione, l’on. Scajola, di far sapere all’opinione pubblica, ai suoi elettori, al suo partito, al presidente del Consiglio e ai ministri tutti, al Parlamento, che finalmente ha acclarato qualcosa? L’Italia non può restare appesa. Prima che lo facciano i magistrati, non converrebbe allo stesso Scajola, di acclarare e non se ne parli più?