Riforme, ora il Cav fa sul serio

07 Aprile 2010

Allegria, non ci mancava che questo: una bozza di riforma costituzionale firmata da Roberto Carderoli, lo stesso ministro al quale dobbiamo una legge elettorale da lui stesso definita una “porcata”. Sistematicamente, a fasi alterne, si sente parlare di “Grande riforma”. E’ così che vanno le cose, da più di trent’anni. Ma questa volta, attenzione, chi sta al governo fa sul serio: forte di un risultato elettorale che non premia il Pdl, ma lascia indiscusso il potere di Berlusconi e che, soprattutto, esalta il ruolo della Lega, consentendole di entrare a pieno titolo nella cabina di regia della coalizione. E, allora, ecco che le ipotesi fioriscono, rispondendo tutte a una necessità: saldare l’asse tra il Cavaliere e Bossi, all’insegna dei comuni interessi.
La crisi economica morde il Paese, ma la cosa principale, per i nostri governanti, sembra il cambiamento dell’assetto istituzionale e l’introduzione di una riforma che assicuri il presidenzialismo. In che modo? Il modello americano non gode da noi, in questo momento, di grande popolarità. Del resto, richiede un fortissimo contrappeso parlamentare, un confronto tra esecutivo e Parlamento su un piano di sostanziale parità, ipotesi che, solo a evocarla, fa venire l’orticaria a Berlusconi. E’ in auge, invece, sponsorizzato soprattutto da Bossi, il semipresidenzialismo alla francese. E, certo, si tratta di un modello rispettabile, anche se controverso. E’ curioso, però, che se ne torni a parlare mentre questo sistema viene messo in discussione dagli stessi francesi.

In ogni caso, l’Italia non è la Francia, dove c’è una struttura statale quanto mai accentrata e i poteri delle nostre regioni sono sconosciuti. Come si concilierebbe tutto ciò con il federalismo voluto dalla Lega? E, ancora: come sopporterebbe il nostro Paese l’eventualità, verificatasi più di una volta a Parigi, di una “coabitazione” tra un capo dello Stato, eletto direttamente dal corpo elettorale, e un primo ministro, sostenuto dalla maggioranza in Parlamento, che appartengono a partiti avversi?
Su tutto ciò ci sarebbe da riflettere, ponendosi come prima esigenza l’edificazione di un sistema istituzionale equilibrato. Ma la priorità è, invece, quel modello che garantisce meglio i rispettivi interessi. Il semipresidenzialismo in salsa francese offre il vantaggio di garantire due poltrone alla maggioranza di governo. Una, il Quirinale, naturalmente, per Berlusconi che non disdegna di passare una confortevole vecchiaia sul “colle più alto”. L’altra, Palazzo Chigi, per Tremonti o, addirittura, per un leghista. Chissà… La cosa certa è che, il Cavaliere, la riforma presidenziale questa volta la vuole davvero. Quale sia il modello gli interessa poco. I dibattiti “accademici” li lascia agli altri. L’importante è essere il signore eletto dal popolo, avere tutti i poteri per portare avanti il suo programma.
C’è da augurarsi che gli aperturisti (che non mancano anche nel Pd) si rendano conto dei rischi di questo pasticcio dalle conseguenze devastanti.

Ci sono gli strumenti per correggere nel nostro sistema quello che va corretto. Alla luce del sole, in Parlamento, nelle commissioni competenti, senza apparecchiare tavoli che ci riserverebbero un altro “patto della crostata”. E ponendo al primo punto di qualsiasi agenda una modifica dell’attuale legge elettorale, il famoso “porcellum”, grazie al quale i parlamentari sono praticamente nominati dai capi dei partiti. L’idea di un presidenzialismo sovrapposto a questo Parlamento fa rabbrividire. Altro che modello francese o americano. Sarebbe la realizzazione del “sultanato”. Con un Signore che si fa le leggi e le fa approvare ai parlamentari che ha nominato.

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