The waste land

11 Gennaio 2010

E’ difficile non inorridire davanti all’immagine dell’uomo in fuga, del cacciatore che insegue, dell’umanità calpestata, dei diritti traditi.
E’ impossibile non ribellarsi alle spiegazioni facili e assolutorie. La verità fa male e lo fa tanto più in questa epoca di eterne sconfitte della legalità e della moralità, della coscienza civile degli italiani.
La verità è che la classe dirigente del nostro paese ha accettato da tempo di convivere con la realtà di terre totalmente sottratte al controllo dello Stato e abbandonate al potere delle mafie locali e internazionali. Per utilità, per convenienza, per calcolo, per indifferenza, per paura, per difficoltà a risolvere i problemi, dunque anche per ignoranza e incompetenza.
Penso con rabbia ai milioni di euro stanziati dall’Europa per progetti di sviluppo, non spesi perché o i progetti non sono stati fatti, o sono stati giudicati inadeguati, o addirittura inutili. Fondi rimasti inattivi da qualche parte, soldi che potevano finanziare imprese, sviluppo, scuole, centri di accoglienza, formazione, ricerca e cultura. Il futuro.
E’ solo un aspetto del problema immenso che oggi la comunità deve fronteggiare. Ma un aspetto che ci aiuta a capire quanto siano enormi gli interessi che si stanno muovendo in queste ore, quanto sia oscuro il potere che si agita e prepara, a suo modo, le elezioni regionali. Ci aiuta a capire anche quanto siano inadeguate e parziali molte delle analisi che oggi leggiamo, soprattutto quelle ufficiali della maggioranza di governo.
Ma non solo.

Se fosse esistita una opposizione, avremmo visto leader politici mobilitarsi con qualche forma di presenza sul territorio e di analisi, esprimere un giudizio, fare una proposta, non tanto per il gusto di accusare l’incapacità di questo governo, ma per prendere atto onestamente che la sconfitta della legalità e della coscienza civile non spunta dal nulla: tutti sapevano tutto o quasi tutto ma nessuno ha scelto di fare della riscossa del sud (e di conseguenza del resto del Paese) la priorità politica di questi anni. Come se un Paese dilaniato fra un Nord ammaliato dalla Lega e un Sud abbandonato alla ‘ndrangheta possa sperare davvero di avere un futuro.
Si dice che tanto non c’è niente da fare. Libertà e Giustizia è stata in Calabria con una sessione della scuola di formazione politica e ci tornerà, anche perché lo promettemmo ai ragazzi che parteciparono. Il primo punto è dunque: esserci. Ce lo chiedono gli amici della Calabria, insieme alle associazioni che non si danno per vinte, ai preti coraggio, ai cittadini che soffrono e si ribellano.
Il secondo punto, però, è quello della buona politica: non c’è futuro per la Calabria, la Campania, la Puglia, la Sicilia se lì più ancora che altrove non si praticherà la buona politica: senso dello Stato, trasparenza, competenza, moralità. Serve sostituire chi non ha saputo o non ha voluto “governare”. Servono procedure limpide nella scelta dei candidati, serve il coraggio della legalità.
Anche per questi motivi è davvero incomprensibile a molti di noi il meccanismo della scelta dei candidati a governatori da parte del Pd.

Nichi Vendola è stato una delle poche novità politiche di questi anni, ci risulta che sia stato anche un amministratore competente e dedito totalmente al suo incarico: perché non sostenerlo?
E perché le decisioni e le non decisioni che prende il vertice del Partito democratico stridono così fortemente con i sentimenti di quelli che lo hanno votato?
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Per molto tempo si è sentito dire di una “transizione” in mezzo alla quale l’Italia si troverebbe, spesso si aggiunge che essa è una “lunga transizione”, a volte se ne prevede la fine, in un tempo non lontano e i commentatori ne parlano come di un’amica di famiglia.
Non ho mai capito bene in cosa consista questa “transizione”, se non che più o meno coincide con gli anni del potere di Berlusconi, di un sistema tendenzialmente maggioritario, del dopoTangentopoli ecc. Il Devoto dice che transizione significa esattamente “passaggio da una situazione a un’altra”. Qualcosa è davvero cominciato negli anni novanta del secolo scorso: un declino sempre più grave della classe dirigente del Paese (politici, giornalisti, imprenditori, professionisti…), tanto più grave, ovviamente, per coloro che aspirano a governare e per questo cercano il voto degli elettori. Al declino ha corrisposto una sorta di blindatura nei confronti di energie nuove destinate al naturale ricambio. Questa classe dirigente, spesso per incapacità e amore del potere, ha permesso il degrado delle Istituzioni (un Parlamento che non ha alcun potere), lo squilibrio tra i poteri dello Stato, il consolidarsi di una “Costituzione materiale” intrisa di interessi privati e nemica dell’uguaglianza dei cittadini.

Ha disegnato un Paese senza futuro, venato di razzismo.
Dalla “Waste land” verso cui stiamo scivolando quasi fosse la sponda finale della “transizione” sarà difficile riemergere e ripartire. Chiedeva T.S.Eliot nel suo immortale poema del 1922: “What are the roots that clutch, what branches grow / Out of this stony rubbish?” (“Quali sono le radici che si afferrano, quali rami crescono da queste macerie di pietra?”).
Onestamente, oggi, possiamo dire quali radici ancora non ci saranno strappate via?

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