797 euro al mese. Non il salario medio di un precario italiano, ma quanto percepisce ogni studente svedese per frequentare semplicemente l’università. Di questa somma, utilizzata per pagare affitto (in media 300 euro mensili per un alloggio universitario) e spese vive di sussistenza (l’iscrizione all’università, per inciso, è totalmente gratuita), il 30% proviene da una donazione a fondo perduto elargita dallo stato, mentre il restante 70%, da un prestito bancario a tasso agevolato del 2,1% che ogni studente restituirà in 25 anni tramite leggere trattenute in busta paga una volta diventato lavoratore. In cambio, ciascuno di loro è tenuto a procedere per tempo nel proprio percorso di studi, pena la perdita di tutti i vantaggi economici.
Considerato a inizio ‘900 da tutti gli indicatori dell’epoca, come il Paese più povero dell’intera Europa continentale (1 milione e mezzo furono infatti gli svedesi costretti nello stesso periodo a lasciare la propria terra in cerca di lavoro e fortuna negli Stati Uniti d’America), oggi il Regno di Svezia può vantare il più alto tasso di multinazionali al mondo in rapporto al numero di abitanti.
Così all’avanguardia dal punto di vista ambientale da riconoscere a chiunque il diritto di accesso a ogni angolo della sua sconfinata natura (a patto di non arrecare danno alle colture o disturbo ai proprietari terrieri), il più grande dei paesi scandinavi, dove anche re Carlo XVI Gustavo è solito utilizzare la bicicletta per i propri spostamenti quotidiani, ha già dichiarato per il 2020 la propria totale indipendenza dal petrolio.
Dopo aver bandito dalle strutture grammaticali alla fine degli anni ’60 il “voi” allocutivo mantenendo esclusivamente il “tu” (ancora oggi sono paradossalmente gli anziani a risentirsi qualora un giovane, per riguardo nei lori confronti, decidesse di ripristinare il vecchio e formale “ni”, quasi volesse stare a significare un apprezzamento poco conveniente dell’età), nel 1979 si rivelò il primo stato al mondo ad aver abolito per legge qualsiasi forma di punizione corporale nei confronti dei minori: ancora oggi, per evitare ai bambini inutili traumi psicologici, vieta a scuola, fino al raggiungimento dei 14 anni di età, il conferimento di valutazioni numeriche.
La patria del premio Nobel (eccezion fatta per quello della pace conferito per tradizione dai cugini norvegesi) e di Stieg Larsson, può poi vantare il primato mondiale nell’accesso alle nuove tecnologie e il maggior numero di lavoratori iscritti ad organizzazioni sindacali, ben l’83% del totale. Soltanto terza invece, con 543 copie diffuse ogni mille abitanti, nella classifica mondiale sul grado di lettura dei quotidiani (l’Italia, per un utile raffronto compare nella lista della World Association of Newspapers soltanto al 33° posto alle spalle di Thailandia, Cina, Turchia e Malesia).
Seconda nell’indice di felicità europeo, la Svezia si porta dietro da oltre 40 anni la fama di capitale mondiale dei suicidi: fu l’allora presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, ancora oggi il più impopolare capo di stato americano fra i sudditi di re Gustavo, a indicare nel 1960 in “nudità, ubriachezza e suicidi” gli elementi caratterizzanti del popolo svedese: questo perché già 48 anni fa a Stoccolma si era soliti stilare precise statistiche che contemplavano al loro interno anche il suicidio come causa di morte (dato che ancora oggi molti paesi si rifiutano di rendere noto); l’ultimo rapporto dell’Oms sullo stato dei suicidi e risalente al 2007 posiziona la Svezia al trentunesimo posto nella triste classifica mondiale: appena due posizione avanti alla Germania (33°), ma saldamente dietro alle insospettabili Austria (20°), Confederazione elvetica (19°), e Francia (18°), che peraltro non devono neanche scontare una pesante mancanza di luce durante i mesi invernali.
Governata ininterrottamente per oltre 75 anni dai socialdemocratici (due brevi interregni conservatori si erano già fatti registrare dal 1976 al 1982 e dal 1991 al 1994), nel 2006 è stato l’allora 41enne Fredrik Reinfeldt a riportare il partito dei moderati alla guida del Paese: per aver messo mano a importanti piani di privatizzazione di aziende pubbliche (fra cui il caso più eclatante, quello dell’Absolut Vodka, fino all’aprile 2008 al 100% di proprietà dello stato svedese), Reinfeldt sta scontando oggi una pesante impopolarità che, stando ai risultati delle ultime elezioni europee, difficilmente lo vedrà riconfermato a capo del governo a seguito delle elezioni politiche in programma per settembre 2010.
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anche dalle parti del piccolo schermo appare del tutto improbabile l’ipotesi di poter imbattersi nelle immagini di una valletta svestita affiancata ad un uomo con il microfono in mano. La televisione di stato, nota per trasmettere film rigorosamente in lingua originale con i soli sottotitoli in svedese e mai intervallati da interruzioni pubblicitarie costa ad ogni proprietario di un apparecchio televisivo un canone annuo di circa 200 euro: ancora ben impresso nelle menti dei telespettatori lo spot istituzionale mandato in onda nel 2005, in cui per promuovere il proprio tasso di imparzialità e indipendenza, veniva utilizzata la figura di Silvio Berlusconi: “quest’uomo controlla in Italia il 90% dei mezzi di informazione” recitava la réclame, sulle note di ‘O sole mio’ e sullo sfondo di immagini tratte da trasmissioni televisive Rai e Mediaset, per poi concludere, “televisione svedese, una televisione libera”.
Il più avanzato sistema di welfare state al mondo, famoso per prendersi cura “dalla culla alla tomba” dei propri cittadini, assicura poi a tutte le famiglie, come diritto universale e non come servizio a domanda individuale, un posto per ogni figlio agli asili nido, aperti 12 mesi all’anno dalle 7 e 30 del mattino alle 5 del pomeriggio: costo del servizio, 50 euro al mese, con una “Max Tax”, riservata soltanto ai redditi più alti, di 80 euro. Una terra, è proprio il caso di dirlo, dove libertà e giustizia sembrano regnare tuttora sovrane.