Separazione delle carriere e doppio Csm. Così la Bicamerale del ’97 insidiava l’utonomia della Magistratura. Il nodo giustizia, già allora, fu uno di quelli più duri. La ricerca di un compromesso per mantenere “unico l’ordine giudiziario” si arenò presto e Marco Boato, relatore della parte sulla Giustizia della Bicamerale dovette dichiarare il fallimento. Il 26 gennaio 1998, dopo un anno di trattative più o meno riservate, Boato parla e con le parole di Calamandrei apre l’invettiva contro Berlusconi e i suoi, denuncia “pressioni sistematiche”, talora “veri e propri ricatti”, subiti dal Parlamento durante i mesi di dibattito sulla riforma della giustizia. Perché parla solo allora?Silvio Berlusconi, fin dall’inizio, anche quella volta, avrebbe voluto riscrivere tutta la Costituzione, anche la prima parte, “che fu il frutto di un compromesso tra i sostenitori dei valori dell’Occidente e la larga influenza dei comunisti”, disse poi in Aula, aggiungendo la sparata finale: “Non basta cambiare sede, devono cambiare le teste”. Ora il Pdl rilancia: ripartire dalla Bicamerale per riformare la giustizia.
Le prime risposte per il Pd arrivano da Lanfranco Tenaglia e Dario Franceschini. Il responsabile Giustizia del partito prende subito le distanze dalla ‘bicameralina’: “Sarebbe bene che la maggioranza portasse le proprie proposte nelle sedi proprie e cioé in Parlamento, dove già da tempo giacciono inascoltate le proposte e le idee del Pd”.
Per Dario Franceschini: “Non è il tempo di pasticci e di nuove bicamerali le proposte di legge si discutono solo nelle aule parlamentari in un rapporto privo di ambiguità tra maggioranza e opposizione”.
La Bicamerale nacque con legge costituzionale il 24 gennaio 1997; era composta da 35 deputati e da 35 senatori. Il 5 febbraio di quello stesso D’Alema venne eletto Presidente con 52 voti su 70 con l’appoggio di Forza Italia e dei centristi del Polo. I vicepresidenti eletti erano: Leopoldo Elia (PPI), Giuliano Urbani (Forza Italia) e Giuseppe Tatarella (AN). A seguito di ciò, la Lega Nord abbandonò la commissione per rientrarvi a sorpresa il 4 giugno e votare con il Polo il semipresidenzialismo.
Paolo Sylos Labini, con Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e Alessandro Pizzorusso nel 2001, nella speranza di battere col voto la Casa delle Libertà, lancia un appello e accusa: “La legittimazione politica scattò automaticamente quando fu varata la Bicamerale: non era possibile combattere Berlusconi avendolo come partner per riformare, niente meno, che la Costituzione, con l’aggravante che l’agenda fu surrettiziamente allargata includendo la riforma della giustizia, all’inizio non prevista. E la responsabilità dei leader dei Ds è gravissima“.
“E’ un errore formulare gli articoli della Costituzione con lo sguardo fisso agli eventi vicini, agli eventi appassionati, alle amarezze…
La Costituzione dev’essere presbite, cioè deve vedere lontano, e non esser miope”, aveva detto Piero Calamandrei il 4 marzo 1947, nel suo intervento all’assemblea Costituente. Boato si fa scudo di quella frase e alla fine di gennaio del ’98 dichiara di essersi mosso sulla traccia di due spinte: da un lato rafforzare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, dall’altro il rafforzamento delle garanzie per i cittadini. Ma quella sua giustificazione non regge al giudizio di tanti sostenitori dei Ds e nella società civile e colpassare del tempo il ricordo della Bicamerale ha un timbro sempre più negativo. Soltanto Massimo D’Alema ogni tanto ricorda: eppure avevamo lavorato bene, un giorno ne riparleremo.
“Fin dall’inizio, dall’esterno del Parlamento, ma anche con qualche minoritaria eco interna, c’è stato chi ha cercato di delegittimare il nostro compito riformatore, pretendendo addirittura di ignorare e calpestare il dettato della legge costituzionale istitutiva della Bicamerale”, denuncia Boato. Fallito questo “patetico e giuridicamente inconsistente tentativo”, sono subentrati altri “sforzi sistematici di condizionamento, di pressione, talora di ricatto, anche un uso distorto di alcuni organi di informazione”.
Finite le critiche al Presidente del Consiglio, Boato poi formula un atto d’accusa alla magistratura, sostenendo che, durante Tangentopoli, “spinta dall’onda dell’emergenza, la magistratura ha finito col ricoprire ruoli che non le competevano”.
Fenomeni di “indebita supplenza e di protagonismo esasperato”, ha detto Boato, “perdita della terzietà della magistratura giudicante e abnorme dilatazione dei poteri di quella inquirente. Effetti perversi del circo mediatico-giudiziario”.
Di qui l’idea di separare le carriere e dividere in due anche il Csm, come prevedeva il testo messo a punto. Ma sulla separazione delle carriere e soprattutto sull’indebolimento della magistratura derivante dalla divisione in due del Csm, da quel giorno del ’98 le critiche da sinistra non si sono mai interrotte. Oggi il Pdl cerca di buttare fra le ruote della macchina del Pd che si sta faticosamente avviando, alla vigilia delle Primarie, la bomba a orologeria di quella proposta discussa e contestata già undici anni fa. Siamo sempre al punto di partenza, ma se alla fine degli Anni ’90 il centrosinistra non fu in grado di svelare il gioco, undici anni dopo sarà pronto a ricascarci?