L’unico dilemma da sciogliere sembra sia stato quello della scelta fra “partito della libertà” e “popolo della libertà”: ma anche quel problema si è risolto nella immediata decisione di optare per “popolo”, data la scarsa “popolarità” dei partiti, in questa fase storica. Per il resto, una volta superate le rivalità comprensibili fra Fini e Berlusconi, la politica italiana marcia spedita verso la formalizzazione, a fine marzo, di una destra chiamata “popolo della libertà”.
Cambia qualcosa nel panorama del sistema italiano, bipolare, bipartitico o maggioritario che dir si voglia? Come sarà dopo la fine di An, di quello che fu il partito di Forza Italia, come funzionerà la fusione delle destre italiane?
Mi pare per ora di intravedere due correnti che possono segnare una divergenza iniziale fra le due forze in campo: la prima sostanzialmente presidenzialista, strettamente legata al decisionismo berlusconiano, la seconda minoritaria, che si ispira alla rivendicazione del parlamentarismo costituzionale, paradossalmente impersonato dall’erede di un partito che fu fuori all’arco costituzionale, l’attuale presidente della camera. Bisognerà capire come le due correnti si influenzeranno a vicenda e come riusciranno a convivere in un unico progetto.
Quello che è assolutamente sotto gli occhi di coloro che vogliono vedere, è il fatto che 60 anni dopo la nascita dell’Italia repubblicana, il sistema democratico disegnato dalla Costituzione è sottoposto a continue aggressioni che prefigurano assetti molti diversi da quelli originali.
La violenza è tale che mette in seria difficoltà coloro che onestamente vorrebbero poter imboccare la via di riforme possibili, magari anche auspicabili in vista di una maggior aderenza delle regole non tanto ai “giorni nostri” (come dice chi ritiene “vecchia” la Carta), ma ai principi stessi previsti nella Carta.
Dietro gli attacchi e palesemente espressa in molte dichiarazioni di Berlusconi c’è la decisa volontà di limitare i poteri del Parlamento più ancora di quanto non sia stato già fatto, formalizzandone la dipendeza dal governo. E questo in nome di maggiori poteri attribuiti o al capo del governo o al presidente della Repubblica, a seconda che l’attuale presidente del Consiglio, ormai certo di aver conquistato per sempre il cuore degli italiani, scelga nei prossimi anni per Palazzo Chigi o per il Quirinale. Noi, comuni mortali, non possiamo fare altro che attendere fiduciosi le decisioni del Capo.
Insomma, a sessant’anni dalle prime elezioni dell’Italia libera, stiamo tranquillamente avviandoci verso una alterazione del sistema democratico che ci porterà in una terra sconosciuta, fra paesaggi densi di incognite e di stagioni pericolose.
Tutto questo sta avvenendo nel nome di quello che gli uomini e le donne di Berlusconi chiamano “lo spirito del popolo”: un qualcosa che solo lui sa cogliere mentre spira nell’aria di questa nostra Italia, e che lo sospinge verso la meta del Potere Senza Controlli. I passaggi logici, espressi dai militanti del Pdl sulle Tv private e sulla Tv pubblica, sono i seguenti: 1) bisogna dare più poteri al governo, perché essere moderni significa decisioni rapide.
2) l’interlocutore dell’opposizione replica: così voi esautorate il Parlamento. 3) risposta: ecco l’antiberlusconismo, perderete per sempre. Si tratta di uno schema che si ripete ormai da tempo e che contempla poche varianti. Infatti si trova in difficoltà chi vorrebbe comunque difendere questo Parlamento, con troppi parlamentari e due Camere che fanno la stessa cosa. Ed è difficile ragionare con calma e spiegare le riforme o i regolamenti nuovi che potrebbero risolvere i problemi senza cambiare il sistema parlamentare a favore del presidenzialismo.
E’ molto probabile invece che lo “spirito del popolo” che gonfia le vele del Cavaliere trascini il nostro Paese in un presidenzialismo “anomalo”, anzi “anomalissimo” rispetto a quelli vigenti in altri paesi: senza controlli, senza contrappesi, senza separazione dei poteri. Un presidenzialismo conquistato con una lunga e attenta strategia attraverso il monopolio dell’informazione, durissimo negli anni passati, forse appena scalfito oggi che il guasto è già compiuto. Ci sono voluti molti anni e molte cecità del centro sinistra perché questo potesse accadere. Ecco la vera responsabilità di una classe politica non all’altezza della situazione: o perché non capiva o perché non voleva capire. In fondo, quanta ammirazione e invidia c’è stata fra i politici che poi hanno fatto nascere il Pd: Berlusconi ha rappresentato non solo a destra l’uomo che incarnava la nuova Italia, la modernità, la fine delle ideologie.
Lo diceva lui, e dunque gli si credeva.
Una analisi, questa non solo povera, e rivelatrice di profonda ignoranza culturale, ma anche assolutamente sciagurata. Ha scritto su l’”Unità” Alfredo Reichlin una cosa che credo andrebbe appesa in tutti i circoli del Pd che stanno nascendo: “L’Italia non è un insieme di territori…una classe dirigente degna del nome, non rappresenta un territorio. Interpreta la nazione e indica ad essa un destino. Innovare significa questo”.
Allo “spirito del popolo”, impersonato da un uomo solo che si prepara ad imporlo a tutti gli altri, sarebbe stato importante saper contrapporre un disegno per il futuro, un “destino”. Temo che sia troppo tardi.
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