Sì, il caso Travaglio. E quando dico “caso”, intendo la baraonda mediatica meticolosamente elaborata intorno all’intervento di Marco Travaglio a “Che tempo che fa “, condotto da Fabio Fazio. La penna indipendente di Travaglio, per qualcuno, ha l’effetto irritante di una qualche prudentissima pianta urticante. Per cui, si agita e inveisce contro. Un po’ a casaccio, devo aggiungere. Ma, di fatto, nessuno smentisce con argomentazioni convincenti le sue affermazioni. E chi lo accusa di essere un impietoso giustiziere e diffamatore, finisce per fare la vera c.d. gogna mediatica (stile telenovela) che viene indebitamente attribuita al giornalista. Ma qual è la differenza? Nessuno sa davvero come tenergli testa, perché è davvero bravo nel suo mestiere. Un unicum. E finiscono per dire più o meno le solite cose: “Travaglio non lascia il contraddittorio, ha un comportamento deprecabile, è un manipolatore e offende tanto”. Nemmeno il diretto interessato, Schifani, ha dato una concreta spiegazione sui suoi rapporti con i soci della società Sicula Brokers, da lui fondata.Ma tra le tante cose dette, tra le molte frittate girate e rigirate, una in particolare mi ha colpito: Santo Versace, ha parlato di un “agguato teso dalla televisione di Stato nei confronti del presidente del Senato Schifani, persona di specchiata integrità morale” (specchiata dove? Nello specchio della matrigna di Biancaneve?). Inoltre, visto che si parlava d’insulti, ha definito Travaglio un “talebano”.
E, francamente, non ho colto l’accostamento. Forse, non ha un’idea precisa di chi sia e cosa rappresenti un talebano (altrimenti si renderebbe conto di aver pronunciato una castroneria pazzesca). O forse si riferisce all’immagine popolare comune (in Italia) del Talebano medio: un afghano assatanato che spara con il mitra su tutto e tutti. Fosse così, capirei cos’ha tentato di esprimere Versace (per quanto, ripeto, il paragone non avesse alcun senso). Ma le armi di Travaglio sono ben altre. Prima di tutto, l’Archivio. Dal quale non può sfuggire nessuno. Inoltre, il suo rigore nella ricostruzione dei fatti storici e processuali e le argomentazioni minuziose, scrupolosamente documentate, lo rendono un cronista giudiziario molto competente. Certo, l’ironia pungente aiuta la sua popolarità. L’impeccabile educazione e la puntualità del registro espressivo lo rendono comprensibile e apprezzabile anche agli occhi di mia nonna, che ha solo il diploma di quinta elementare ed è indiscutibilmente berlusconiana. Ma, al di là della professionalità, si distingue soprattutto per il suo coraggio. E perché non prende ordini da nessuno.
In realtà, in un Paese democratico, dovrebbe funzionare così per tutti. Ma,da qualche tempo, l’Italia gioca al girotondo con se stessa. E, ogni tanto, cadendo rovinosamente a terra, si fa male sul serio. Poi trova qualcuno che la fa rialzare e il giro ricomincia nel senso opposto. Ma restando esattamente dov’è. Torniamo al “caso” in questione: il problema, come è stato ampiamente ribadito qua e là, consiste nei presunti insulti che Travaglio avrebbe deliberatamente rivolto al Presidente del Senato Renato Schifani.
E, come spesso accade, è iniziata la gara a chi si dissocia di più. A cominciare da Fabio Fazio. Il vero problema, però, è che nessuno può dissociarsi dai fatti. E io, pur non essendo un filosofo, credo di poter tranquillamente asserire, senza che nessuno si dissoci da me, che la realtà è quello che è. La si può ribaltare e strapazzare in un modo o nell’altro, ma un fatto, per quanto interpretabile, rimane esattamente dov’è e com’è. E il nostro fatto è che Schifani, nel 1979, ha fondato una società, di cui fu anche amministratore, nella quale, tra i soci, c’erano anche questi signori: Benny D’Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. E come finirono qualche tempo dopo questi suddetti figuri? L’imprenditore D’Agostino fu condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, Mandalà fu condannato direttamente per Mafia e Lombardo è stato presidente e consigliere delegato di un’altra società che ospitava come soci “uomini d’onore” arrestati da Falcone nell’84 .Ora, voglio dire questo: la politica, ma non solo, persevera nell’insopportabile tendenza di richiamare tutto alla semplice “coincidenza”. Per fare un esempio, è solo una coincidenza che il reato di falso in bilancio sia stato depenalizzato proprio per quanto riguardava i guai con la legge di Berlusconi, proprio per mano del suo Governo. E’ anche una coincidenza che dopo la dichiarazione del Cavaliere il 18 Aprile 2002 a Sofia, il c.d. “editto bulgaro”, Santoro, Biagi e Luttazzi scomparvero completamente dalla televisione pubblica.
Come, del resto, sono frutto della spietata casualità le intercettazioni Berlusconi-Saccà o quelle tra Fazio i furbetti del quartierino. Non è più coincidenza, ma addirittura un ingegnoso complotto, quando, intercettando personcine come Saladino, Bisignani, Poletti e Carducci, salta fuori pure Mastella. Capitano tutte a loro, insomma. Ma, come nelle grandi famiglie alla “Beautiful”, in cui i misfatti sono all’ordine del giorno, quando accadono queste “sviste” nessuno deve parlarne più. Ma, all’improvviso, le racconta un giornalista in tv. In un programma molto seguito, oltretutto. Chi spiazzato, chi attonito, chi furente. E scoppia il putiferio.
Ad ogni modo, io non credo che ai comuni cittadini, ai lavoratori onesti, agli imprenditori rispettabili, possa capitare spesso di avere a che fare con mafiosi o amici di mafiosi. O di essere intercettati al telefono mentre si discute di affari loschi e spesso illegali. O di essere iscritti dai pm nel registro degli indagati. Insomma, vogliamo continuare a sostenere l’escamotage per cui se è sempre la stessa fettina di Paese a finire in queste situazioni si tratta della solita innocente coincidenza? Di un tragico errore? Di un imperdonabile agguato? Di una persecuzione? Travaglio ha citato un fatto. E quelli che ne sono rimasti scottati, non hanno saputo fornire una spiegazione sensata ad un rapporto che, evidentemente, c’è stato. La Finocchiaro ha immediatamente colto l’occasione per dire la sua contro Travaglio: “trovo inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi, come quella di collusione mafiosa, in diretta tv su una rete pubblica, senza possibilità di contraddittorio”.
Insomma, sui libri sì, ma in tv assolutamente no. In effetti, pochissimi leggono ancora qualcosa di diverso da Federico Moccia, in Italia. Tutti si affidano ai teleschermi. Per cui guai a dire la verità in diretta, senza possibilità di censura preventiva! O verrai querelato per diffamazione. Anche se stai citando qualcosa che era già reso pubblico in più di un libro.E poi, Travaglio non ha accusato nessuno. Ma nel momento in cui vieni a sapere che Tizio era in affari con Caio e Sempronio, condannati poi per mafia, anche se sei lo scimunito del villaggio, fai due più due e nasce il sospetto. Certo, il sospetto andrebbe accertato in Tribunale (anche se non è semplice come sembra). Ma una deduzione la può fare chiunque. Non solo Travaglio. Pure un ragazzino di 12 anni che cerca Schifani su Wikipedia può scoprire le medesime informazioni. E trarne le dovute e personali conseguenze. Matteoli, invece, ricorda come Schifani si sia battuto per la lotta alla criminalità organizzata: infatti, nessuno nega che Schifani si sia dato tanto da fare nel 2001 per la stabilizzazione del 41 bis. Ma non funziona che “cosa buona batte cosa cattiva”. Altrimenti io potrei ribattere con la legge Maccanico-Schifani, dichiarata incostituzionale dalla Consulta, e raggiungere il 2 a 1 per me. Insomma, io penso che sia un diritto del cittadino mettere in discussione i suoi mandatari. O dobbiamo accettare tutte le scelte della Politica come fossero oro colato? E se non sono i giornalisti ad informarci e, in un qualche modo, a fare i guardiani della politica, come potremmo esprimere la nostra “sovranità popolare” e sviluppare un senso critico almeno dignitoso? Dobbiamo limitare a pagare le tasse e intrattenerci con Enrico Papi e Gerry Scotti davanti la tv o possiamo anche cercare di capire la vita e le opere di chi governa il nostro Stato?
Insomma, Travaglio può fare paura solo in un Paese manchevole, che è poco serio e poco liberale.
Nel quale, nominare un fatto, diventa automaticamente insulto,ingiuria, cafoneria.E quanta ipocrisia! Berlusconi che definisce “coglioni” gli elettori di sinistra e ha proposto un test attitudinale per i giudici che “sono dei matti”, le dichiarazioni aberranti di Calderoli (che si ostina a definire gli omosessuali come “culattoni”), Sgarbi che sbraita senza tregua “coglione-testa di cazzo-stronzo” a chiunque incontri di fronte ad una telecamera (e viene, di conseguenza, elogiato da Alemanno come uomo di “grande valore”), Dell’Utri che celebra Mangano come un eroe: questi sono veri esempi di veri insulti. Ma è evidente che ,tra i “piani alti” della società, in pochi hanno capito dove scovare i veri “diffamatori” e quelli che fanno davvero un uso insano, scorretto e illegittimo, non solo della televisione, ma anche della cosa pubblica. E al cittadino medio italiano pare normale che il Presidente del Consiglio dichiari di voler riportare la gestione della tv pubblica sotto il controllo della maggioranza, per evitare il ripetersi di tali “cose vergognose e inaccettabili”. E, in effetti, sperimentati gli ultimi Governi e confrontati con il Passato, non ha così torto Travaglio nel temere il peggio per il futuro. Altro che muffa! Io avrei detto ben di peggio. E, infine, Gasparri, è l’ultima persona che dovrebbe permettersi anche solo di nominare il “decoro del servizio pubblico”, dal momento che la sua legge ha permesso lo sfascio completo dell’informazione pubblica.
Mi permetto di aggiungere un’ultima considerazione: penso che Indro Montanelli sarebbe compiaciuto di come Travaglio riesce a far battere i pugni sul tavolo a tanta, tanta gentaglia.
* L’autrice fa parte del Circolo toscano di LeG ed è una delle più giovani iscritte.