Il Cavaliere spiazzato

25 Febbraio 2008

Diciamoci la verità: quando è caduto il governo Prodi nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla possibilità del Pd di diventare almeno competitivo nei confronti delle caricatissime legioni del centro destra. E invece quello che sta accadendo è uno sconvolgimento del tutto inatteso, che ha azzerato gli scenari a cui eravamo abituati, ha spazzato via i vecchi punti di riferimento, e ha reso di nuovo imprevedibile l’esito della contesa.Certo, i sondaggi continuano a dare per vincente l’armata berlusconiana. Ma al Senato i conti sono difficili, perché i conti andrebbero fatti regione per regione, calcolando l’impatto perverso del “Porcellum” che punisce chi vince bene negandogli il premio di maggioranza e lo regala invece a chi vince di poco. E alla Camera, dove il Cavaliere sembra inarrestabile, resta l’incognita delle nuove liste, da quella centrista alla destra di Storace, che proprio perché nuove sono difficilmente quantificabili, come ben sanno gli esperti di statistica.A questo punto è evidente che la campagna elettorale sarà determinante, ed è proprio su questo terreno che si manifestano le novità più inattese. Walter Veltroni è partito prima e, come molti commentatori hanno notato, è riuscito a costringere Berlusconi all’inseguimento. Con conseguenze sorprendenti. Prima di tutto quella dei toni: abbassando i decibel del dibattito, il segretario del Pd ha privato il Cavaliere della sua arma più sperimentata, quella di presentarsi come vittima dell’aggressione altrui.

Naturalmente questa tattica richiede un attento dosaggio. Infatti per mobilitare i propri elettori una certa quantità di polemica ci vuole, ma questa polemica non va spinta oltre il livello di guardia per non regalare armi all’avversario. Per ora ha funzionato, ma bisogna vedere se il Pd riuscirà a mantenersi in equilibrio fino in fondo.Poi c’è il discorso della compattezza, essenziale dopo lo spettacolo miserando offerto dall’ex Unione di centro sinistra. Bene: era lecito attendersi che l’onere di questa prova spettasse quasi interamente al fronte veltroniano. E invece è accaduto tutto il contrario. Il Pd si è mosso quasi come un sol uomo, mentre a destra c’è stato il finimondo. L’addio di Storace prima e di Casini poi, pur sottraendo consensi preziosi, avrebbero potuto essere l’occasione per serrare i ranghi del neonato Popolo della Libertà. Non è stato così. Il primo episodio, scarsamente sottolineato, è accaduto in occasione dell’”election day”. Ricordate? Il centro sinistra lo voleva, Berlusconi no. Il governo aveva minacciato di farlo anche contro l’attuale opposizione, e Napolitano lo aveva bruscamente stoppato. Brutta storia per il Pd, se a salvarlo non fossero arrivati Bossi e Fini che, ignorando tranquillamente l’anatema del loro leader, hanno detto sì. E l’election day si è fatto, con buona pace del Cavaliere.Un campanello d’allarme trasformato in una sirena lacerante dalla vicenda Sicilia, che ha squadernato davanti all’elettorato un centro destra avvelenato da mille veti contrapposti, sgambetti reciproci e regolamenti di conti perfino dentro il nocciolo duro di Forza Italia.

Ora la storia sembra finita, ma basta un’occhiata al blog dello sconfitto (ma futuro ministro) Micciché per capire quanti strascichi mefitici si lasci dietro la pacificazione forzata del Popolo siciliano della Libertà.A tutto questo si aggiunge l’incertezza di Berlusconi. Fa uno strano effetto vedere il Cavaliere, tentennante e spiazzato, ripetere come una giaculatoria il vantaggio garantitogli dai sondaggi, e allo stesso tempo ipotizzare (smentendosi successivamente) il possibile pareggio al Senato con conseguente governo delle larghe intese. E fa effetto vedere Fini che, dopo essere entrato senza batter ciglio nel Popolo della Libertà, si comporta come un leader più forte di prima, proponendo l’operazione “liste pulite”, con Bondi che gli va dietro e Berlusconi che inorridisce.Ora si parla di qualche avance nei confronti di Storace, per ottenerne l’apparentamente almeno in qualche regione a rischio per la destra. Si può scommettere che Fini lo impedirà, come ha impedito l’accordo con Mastella, che pure Berlusconi avrebbe voluto.A questo punto è lecita una domanda: ma chi glielo ha fatto fare al Cavaliere di inseguire Veltroni e di smantellare la formula sperimentata della Casa delle Libertà? Certo, temeva la novità rappresentata dal nuovo e dinamico avversario, ma se davvero i sondaggi gli assicuravano un vantaggio stellare poteva ben permettersi di amministrarlo senza troppi affanni. Berlusconi, si sa, cerca di non lasciare niente al caso. Perciò se ha deciso di percorrere questa strada vuol dire che aveva le sue buone ragioni.

In altre parole, vuol dire che quei sondaggi lusinghieri non erano poi così credibili. Il che ci porta dritti ad un’ipotesi da enunciare con la massima prudenza: forse la missione di Veltroni non è poi così impossibile come poteva sembrare.

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