Il ramoscello d’ulivoe la marcia su Roma

28 Gennaio 2008

Tu ti presenti col ramoscello d’ulivo in mano (si fa per dire, dato che l’ulivo ormai indica soltanto l’albero che fa le olive , non un raggruppamento politico morto e sepolto) e intanto egli, il tuo interlocutore obbligato, invoca una marcia su Roma con l’obiettivo evidente di condizionare pesantemente le scelte di Napolitano. Ci vuole un bel coraggio per insistere e tirare diritto. Nemmeno la considerazione che ormai tutti si comportano già come se fosse iniziata la campagna elettorale può alleggerire la spiacevolezza del contrasto, la presa d’atto che lo stile è sempre quello e che la risposta alla “fine dell’odio” proclamata unilateralmente da Veltroni sarà una chiamata alle armi. Una campagna senza esclusione di colpi, inaugurata ieri con la promessa che d’ora in poi, tornato lui al governo, le intercettazioni saranno ammesse solo per i reati di mafia e di terrorismo. Corruttori, concussori, affaristi e bancarottieri, criminali d’ogni specie: liberi tutti!
Eppure è proprio questa testardaggine democratica di Veltroni che gli ha fatto conquistare il popolo del Pd , questo suo sventolare uno stile diverso di fare politica, questo richiamo a una Italia nuova e diversa che ha convinto il cuore della sua gente. A questo pensavo domenica mattina, mentre ascoltavo il segretario del Partito democratico enunciare ancora le sue parole d’ordine, ormai entrate nell’immaginario dei militanti e confermate dai sentimenti provocati in essi dalla crisi di governo.

Venuti ad ascoltare Walter nelle ore della delusione e della preoccupazione i nuovi democratici si sono commossi per l’inno di Mameli e all’invito all’orgoglio nazionale, ma hanno anche accompagnato con applausi convinti l’appello ad abbandonare la politica dei veti e dei “no”, il richiamo alla democrazia in grado di decidere, a una “radicalità del riformismo” che è l’unico riferimento al radicalismo ammesso nella strategia veltroniana.
Sì: il partito nuovo non è ancora pronto, dal punto di vista dell’organizzazione e degli organismi dirigenti, ma la filosofia politica è ormai ben chiara e direi anche accettata dalla gente del Pd. Questo significa che martedì, salendo al Quirinale per esser consultato da Napolitano, il segretario potrà presentare la sua richiesta di un governo per alcuni mesi (per fare la riforma elettorale e forse anche qualche riforma istituzionale) con la certezza di esser stato capito e con l’incoraggiamento della base. Non è una cosa da poco: indica che un leader sta nascendo, perché c’è voglia di leader e voglia di una politica che smarchi dal passato. Un passato di cui oggi si assaporano soprattutto i difetti: la lontananza dalla gente, l’odiosa rivendicazione di visibilità, i ricatti di piccoli e grandi, il potere della casta. Veltroni sa che deve trasformare la delusione e la paura della sua gente in mobilitazione per una campagna difficilissima, la più difficile di tutta la sua vita. Nessuno potrà addebitargli, con tempi così brevi, una possibile sconfitta elettorale.

Ma se dovesse apparire incerto, oscillante fra l’ossequio al vecchio e una incapacità di mostrare un orizzonte nuovo, avrebbe perso prima di cominciare la sua sfida. Che va oltre queste elezioni, che si facciano ad aprile, in autunno o l’anno venturo. Se vuol essere davvero un leader democratico.

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