Lontano, lontano nel mondo

25 Gennaio 2008

Il blog di LeG: E ora? // Ha ragione chi pensa che la pagina politica scritta ieri a palazzo Madama, tra i brindisi e la sboccata violenza non solo verbale di una parte dei senatori, non segni solo la fine di un governo fra i tanti che si sono succeduti nella storia repubblicana, ma chiuda anche il capitolo di una lunga storia. E’ probabile anche che l’onda lunga prodotta dalla fine del governo Prodi non si esaurisca tra i palazzi del potere nazionale, ma travolga i santuari del potere della sinistra in Italia, e cioè il potere nelle città e nelle regioni. Un’Italia diversa si profila all’orizzonte, figlia naturale di questa Italia anomala e divisa. Come sarà, questa nuova Italia?
Serve, per cercare una bussola di orientamento, il tentativo di fare un bilancio. E’ presto, perché esso sia davvero giusto e completo. Ma è impossibile, nelle ore stesse in cui il Capo dello Stato tenta la difficile ma sacrosanta mediazione per un accordo su una nuova legge elettorale e un nuovo breve governo, non ragionare su quanto è accaduto il 24 gennaio, in quel Senato che da due anni e mezzo ci sorprendeva con quei voti che all’ultimo secondo salvavano il governo.
Ieri no. Non è accaduto. La prima causa dunque va detta chiaramente: non fu vera vittoria del centro sinistra, in quella primavera del 2006. Fu un sei meno meno, ottenuto mettendo insieme tutto ciò che era raccattabile per un’alleanza la cui nascita avveniva attorno a un programma assolutamente ingestibile da un governo (comunque il più affollato della storia): senza un’anima, un motore principale che non fosse una stiracchiata idea di solidarietà e di rinascita del Paese ma che prevedeva soluzioni non solo diverse, ma addirittura opposte fra loro.

Quante volte abbiamo ascoltato qualcuno dei sottoscrittori di quel testo invocare, contraddetto da un altro, il senso autentico, la vera interpretazione di ciò che era stato deciso nella fabbrica di Bologna. Non poteva funzionare. E non ha funzionato. A seconda degli interessi dei singoli, il governo si è concentrato su sue “priorità”. Così, per l’ennesima volta, è rimasto nel cassetto il conflitto di interessi e la legge sulla Rai che avrebbero reso il paese un po’ meno anomalo e assai più moderno. Si fece invece, come primo atto, un indulto le cui conseguenze si scontano ancora. Ma questo è solo un esempio.
Sin dall’inizio fu chiaro che i piccoli partiti e la sinistra sinistra non avrebbero fatto a Prodi alcuno sconto, anzi avrebbero adoprato la visibilità offerta dall’essere al governo come uno strumento appunto per accrescere attraverso la visibilità la loro fetta di potere. E’ stato uno spettacolo assolutamente ignobile. Fa male ripensare oggi alla disinvoltura con cui i minuscoli leader di pacchetti di voti si affrontavano in dibattiti televisivi contraddicendo politiche generali, in cerca di battute spiritose per un applauso immaginario, che sentivano essi soltanto, tronfi di un potere immaginario che però minava sia la fiducia degli elettori, sia le speranze per il futuro, sia la capacità stessa di Prodi di sopravvivere a tanta vanagloria e insipienza politica.
Il danno è stato immenso e mentre crescevano, è vero, anche i distinguo a destra fra chi era stato sconfitto alle elezioni (cosa del tutto fisiologica, come sa chi conosce un poco le regole della politica), nel centro sinistra ci si cullava nell’euforia da partito democratico.
Questa euforia, che abbiamo scambiato per voglia di rinnovamento, ha colto tanta gente, elettori e cittadini giovani e anziani.

E’ stata la stagione della speranza e dei progetti per il futuro. Ma tutti, tutti noi che ci abbiamo creduto e che ancora ci crediamo, dobbiamo ammettere che mancata la percezione di quanto fosse imminente la caduta, di quanto in fretta si dovesse fare e è stato concesso ai due principale attori, Ds e Margherita, di crogiolarsi nelle difficoltà comprensibili del fondersi, del fare i congressi, delle decisioni lunghe, sofferte e democratiche.
Nessuno ha dato l’allarme sulla necessità assoluta di essere pronti. E’ mancato chi imponesse un “estote parati”.
Chi avrebbe dovuto farlo? Il presidente del consiglio, forse, ma lui era sicuro di arrivare a fine legislatura, contava sul fattore C. o come altro chiamava la sua dea protettrice. Il neo segretario del Pd? Se lo avesse fatto si sarebbe detto che lavorava contro il governo. Dunque, calma, ragazzi e via con le commissioni, le assemblee, i manifesti, i tempi infiniti di una bella nuova politica.
Ma nei tempi lunghi lavoravano bene i nemici del Pd: dentro e fuori. Dal vaticano con la sua nuova politica di forte ingerenza agli atei devoti che incantavano il nuovo Pd con il fascino dell’intelligenza e di un modernismo all’insegna del rompiamo le regole e le fila. Alla fine, si dirà, a tradire sono stati i diniani e l’Udeur. Ma quanti hanno lavorato per quel rompiamo le fila? Quanti hanno avuto interesse, nel centro sinistra e nella destra (ovviamente) affinché questo fosse il risultato?
Guardiamo al Pd, il Pd oggi.


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