Il vecchio sistema. Fino al 1993, le elezioni politiche in Italia si sono svolte col sistema proporzionale. Alla Camera, i 630 deputati venivano eletti nelle 32 circoscrizioni in cui era diviso il territorio nazionale. Ad ogni circoscrizione era assegnato un certo numero di seggi che venivano divisi tra le liste in gara in base alla percentuale di voti riportati. All’interno di ciascuna lista, i seggi ottenuti erano assegnati ai candidati che avevano ottenuto il maggior numero di preferenze. Per il Senato invece vigeva un sistema uninominale su base regionale. Ogni regione era divisa in un certo numero di collegi uninominali: il seggio era attribuito al candidato che avesse superato il 65% dei voti. I seggi non attribuiti in prima istanza (la maggior parte, perché il 65% era un risultato quasi proibitivo) venivano ripartiti in modo proporzionale nel collegio unico nazionale.
Il Mattarellum. I referendum del 1990 e del 1993 aboliscono la preferenza unica e danno una forte indicazione in senso maggioritario. Si arriva così alla legge Mattarella, (la 276 del 4 agosto 1993) che introduce un sistema misto, maggioritario. Alla Camera, il 75% dei seggi (475) è attribuito con un sistema maggioritario in altrettanti collegi uninominali. In ciascun collegio il seggio è assegnato al candidato che ottiene il maggior numero di voti. Il restante 25% dei seggi (155) è attribuito con un meccanismo proporzionale su liste concorrenti con uno sbarramento del 4%.
Sistema simile per il Senato con 232 seggi assegnati con sistema maggioritario in collegi uninominali e 83 attribuiti su base proporzionale regionale senza liste e senza sbarramento. Piace a Prodi, è avversato da tutto il centrodestra.
Il Porcellum. Così il senatore leghista Roberto Calderoli ribattezza la sua riforma (legge 270 del 21 dicembre 2005). Dopo 12 anni si torna al proporzionale “calmierato” da sbarramenti, premi di maggioranza e dall’indicazione del premier. Aboliti i collegi uninominali, si torna alle circoscrizioni: non ci sono le preferenze e i seggi vengono attribuiti alle liste secondo l’ordine di presentazione dei candidati deciso dai partiti nelle diverse circoscrizioni elettorali. Previsto il premio di maggioranza: la ripartizione dei seggi per la Camera riguarda solo le coalizioni che superano il 10% dei voti validi sul piano nazionale e i partiti che vanno oltre il 2% o rappresentino minoranze linguistiche, nonché la migliore lista sotto soglia, cioè quella che abbia ottenuto più voti tra le liste che non sono arrivate al 2%. I partiti che si presentano al di fuori di una coalizione devono conseguire almeno il 4% per poter essere rappresentati alla Camera. Alla coalizione (o alla singola lista) che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi a livello nazionale viene attribuito un premio di maggioranza affinché raggiunga la quota di 340 deputati. Per il Senato, le soglie di sbarramento (20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate; 8% per le liste non coalizzate e per le liste che si siano presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%) ed i premi di maggioranza sono applicati Regione per Regione.
E’ previsto anche che i partiti depositino, insieme al contrassegno, il programma elettorale ed indichino il capo della singola forza politica oppure della coalizione, senza che questo pregiudichi le prerogative del Presidente della Repubblica per quanto riguarda la nomina del futuro Presidente del Consiglio Infine, 6 senatori e 12 deputati sono eletti, con il sistema proporzionale fra liste concorrenti non bloccate, nella Circoscrizione Estero, suddivisa in quattro ripartizioni continentali.
Il sistema fortemente voluto dal centrodestra si rivela incapace di garantire la governabilità: Alla Camera, per cominciare, prevede un premio di maggioranza nazionale che obbliga a formare coalizioni tanto ampie da risultare assurdamente eterogenee; al Senato, invece, assegnando premi regionali che si annullano a vicenda impedisce che uno schieramento si affermi in modo netto; con il meccanismo delle liste bloccate, poi, distrugge ogni rapporto fra elettori ed eletti, regalando alle segreterie dei partiti il potere di stabilire in anticipo chi entrerà in Parlamento e chi no; grazie alle soglie di sbarramento ridicolmente basse, infine, permette anche alle forze più insignificanti di conquistare qualche seggio, con il risultato di perpetuare la patologia italiana dell´eccessiva frammentazione.
Il Vassallum. Prende il nome da uno dei costituzionalisti che l’hanno elaborato, Salvatore Vassallo (con lui Stefano Ceccanti, Franco Bassanini e Alessandro Chiaromonte). E’ un sistema misto tra proporzionale e maggioritario che prende spunto da quello tedesco e combina anche elementi di quello spagnolo.
L’Italia viene divisa in un numero di collegi pari alla metà dei seggi da assegnare. I collegi vengono aggregati in circoscrizioni da 6/8 seggi che, quindi, assegnano 12/16 seggi. La dimensione media, 14 seggi, è più ampia di quella spagnola, il che offre una «soglia implicita» alla frammentazione.In ogni collegio, ciascun partito presenta un candidato più una lista di circoscrizione con un numero di candidati pari alla metà dei seggi della circoscrizione. L’elettore dà un solo voto che vale sia per il candidato che per la lista e dunque sia per il seggio uninominale che per i seggi proporzionali.Chi ottiene più voti nel singolo collegio, viene automaticamente eletto. Poi si procede alla ripartizione su base proporzionale – secondo il modello tedesco – dei seggi spettanti alla circoscrizione applicando un metodo matematico, il metodo d’Hondt, per ridurre la frammentazione. Gli altri seggi vengono assegnati ai migliori perdenti.
Questo sistema penalizza i partiti con meno del 5% sul territorio nazionale, va meglio per chi ha un forte radicamento regionale; mantiene in vita e rilancia il bipolarismo senza danneggiare troppo i partiti più piccoli. Sulla scheda non ci sarebbe più l’indicazione del premier, ma è probabile che, alla fine, ci sarebbero due partiti più grandi e alcuni più piccoli “costretti” ad aggregarsi con i primi due per fare coalizione e garantire un governo al Paese. Avvantaggia invece i partiti più grandi a vocazione maggioritaria. I nuovi raggruppamenti di medie dimensioni (Cosa Rossa o Bianca) avrebbero qualche seggio in meno del sistema tedesco ma non la sottorappresentazione del sistema spagnolo.
Il sistema tedesco: è un proporzionale corretto, con sbarramento al 5 per cento e senza premio di maggioranza.
Il primo ministro viene eletto dalla Camera dei deputati. Ogni partito si presenta davanti agli elettori con l’indicazione di un candidato premier. Non c’è nome sulla scheda. I partiti che non raggiungono il cinque per cento non entrano in Parlamento. Non è previsto un premio di seggi per assicurare la maggioranza alla coalizione che prende più voti. Il presidente del Consiglio, una volta eletto, può essere cambiato durante la legislatura con una mozione di sfiducia costruttiva, a patto che questa contenga l’indicazione del nuovo premier. Nel sistema tedesco il presidente del Consiglio può proporre lo scioglimento delle Camere se ha perso nella votazione sulla questione di fiducia.
Il sistema spagnolo è un proporzionale molto corretto, dagli effetti decisamente bipartitici. Ha principalmente due effetti: un grado elevato di bipartitismo complessivo e una buona rappresentanza dei partiti regionali. Bipartitismo con federalismo, disincentivando invece la presenza di partiti minori nazionali. Il sistema ha due pilastri: la proporzionale solo dentro ogni circoscrizione e un numero molto elevato di circoscrizioni, corrispondenti alle province, che sono 50. Considerando che i deputati del Congresso (cioè della Camera che esprime la fiducia) sono 350, il numero di rappresentanti che si eleggono in ogni circoscrizione è molto basso: varia da 1 fino agli oltre 30 di Madrid e Barcellona. In molte circoscrizioni i seggi sono, tre, quattro o cinque. La media è di sette seggi.
Agisce pertanto uno sbarramento implicito molto consistente che, insieme, alla regola matematica per la conversione dei voti in seggi costituita dal metodo del divisore d’Hondt, tende a sovra-rappresentare le formazioni più grandi a discapito di quelle più piccole. La legge elettorale prevede anche una soglia di sbarramento formale del 3% a livello circoscrizionale. Essa vale a escludere i partiti molto piccoli nelle circoscrizioni più grandi, come, ad esempio, quelle di Madrid e Barcellona. Questo avvantaggia i partiti più grandi, senza però penalizzare le formazioni regionali i cui consensi sono concentrati in specifiche circoscrizioni e consente alle formazioni nazionali capaci di superare la soglia del 3 per cento in sede circoscrizionale di conseguire una rappresentanza parlamentare, sia pure di più ridotte dimensioni Permette di bilanciare la rappresentatività popolare con la rappresentatività territoriale espressione delle istanze autonomistiche.Le liste sono “bloccate”, senza voto di preferenza, ma il numero molto basso di candidati che compongono le liste consente comunque un buon rapporto di conoscenza e di relazione tra elettori e candidati. Se il partito più forte non ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, si forma un Governo di maggioranza relativa, con appoggi esterni dei partiti regionalisti.
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