Il coraggio di cambiare

18 Gennaio 2007

“Non è la grandezza dei nostri problemi che mi preoccupa di più. Ma la piccolezza della nostra politica”: rivolgendosi ai suoi sostenitori e spiegando la ragione profonda per la quale, quarantacinquenne e senatore da soli due anni, nato alle Hawaii da padre africano e madre del Kansas, sta prendendo la decisione di correre per la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, Barack Obama parte da qualcosa che anche noi conosciamo bene. Dice di essere colpito da quanta sia la fame per una politica diversa. Obama è solo ai primi passi di un cammino lungo e difficilissimo: le primarie laggiù sono una cosa seria e soprattutto non gli sarà semplice combattere la macchina già rodata di Hillary Clinton e neppure, ovviamente, i pregiudizi per la sua origine. E’ vero che dicono abbia il fascino e il carisma di John Kennedy, ma certo non ha alle spalle una famiglia potente e ricca. Comunque, non ci interessa, in questo momento, se sarà lui o un altro a rappresentare la sfida democratica ai repubblicani. Mi pare significativa quella sua lettera ai sostenitori proprio perché dice: dobbiamo cambiare la politica e questo cambiamento “può solo venire da voi, dai cittadini del nostro Paese che credono che ci sia un modo migliore di fare politica e sono disposti a lavorare a questo scopo”.
Partire dal basso, “dalle radici”, insieme per fare cose straordinarie.
Parole semplici, e l’obiettivo di rendere meno cattiva e di parte la lotta, meno dipendente dai soldi e dal potere.

Un ingenuo, potremmo anche pensare noi abituati alle frasi contorte e ai pensieri complicati, alle parole che sembrano dire una cosa e invece alludono ad altro. Si vedrà. Per ora mi permetto di segnalare che questo inizio di primaria democratica registra in pole position una donna e un nero. Evidentemente non sono fatti solo di basi militari quegli americani sui quali da noi oggi si stanno scannando come sempre opposti schieramenti. E come sempre non si sa come se ne uscirà.
Dunque, l’esigenza di una politica nuova. Nel paese dei due grandi partiti non nascono nuovi partiti, nuove aggregazioni, ma nuovi candidati. Impossibile e inutile il confronto con casa nostra. Noi siamo tutti più o meno vecchi: siamo vecchi noi della società civile, associazioni, movimenti, girotondi e così via. Sono vecchi gli stati maggiori dei massimi partiti. Sono vecchie le ideologie alle quali si fatica a rinunciare. Di nuovo c’è soltanto il progetto di un partito per il centro sinistra democratico, aperto non solo ai vecchi partiti ma a cittadini senza tessera, un partito moderno con regole nuove al suo interno, trasparente e lungimirante.
E allora? Non ho risposte. Ma chiedo: può un progetto nuovo essere affidato a vecchia leadership? Può mantenere una elevata capacità di coinvolgimento, il fascino di un’avventura civile che appassioni cittadini delusi dalla politica? Forse sì, ma gli scogli da superare, come stiamo vedendo, sono davvero tanti. Barak direbbe: il nuovo deve partire dal basso.

Ma lui, appunto, è nuovo.

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