Chi avesse avuto la pazienza di leggersi ieri le interviste a D’Alema e Rutelli e lo scritto di Piero Fassino ognuno dei quali affronta (più o meno estesamente) il tema del Partito democratico potrebbe esser tentato di mettersi l’anima in pace e illudersi che i problemi sono superati e che ormai nessuno bloccherà la marcia verso la nuova formazione politica. Saremmo volentieri tentati di crederlo anche noi che da tanti anni ormai inseguiamo con passione la speranza del rinnovamento del quadro politico italiano. Ma da tanti anni sappiamo anche non farci illusioni. Vediamo dunque cosa hanno detto i tre leader.Francesco Rutelli ha dichiarato al Corriere della Sera che la nascita del Pd è un’esigenza ormai ineludibile, che in primavera del 2007 i congressi della Margherita e dei Ds metteranno a punto una piattaforma programmatica condivisa “per un partito nuovo che comprende i due terzi della coalizione di centro sinistra, mentre il governo avrà un baricentro riformista ancora più marcato. Non sarà un partito monolitico, e avrà le sue componenti culturali.
Un rammarico Rutelli lo esprime: “Sarebbe stato meglio, molto meglio, se la Margherita si fosse presentata tutta intera alla nascita del partito democratico..sarebbe stato meglio un atteggiamento unitario, anziché la sottolineatura puntigliosa di differenze minime. Perciò mi ha deluso questa scelta dei prodiani…”. D’Alema invece ha messo l’accento sul fatto che il Pd debba essere parte integrante di una nuova stagione di cambiamento e che non dovrà essere soltanto una semplice federazione. “Non ci ho mai creduto come oggi. Il partito democratico è il nerbo del processo di cambiamento di cui il Paese ha bisogno”. Secondo D’Alema dal prossimo gennaio dovrà partire “il cantiere delle grandi riforme politico-istituzionali”, una fase costituente su obiettivi circoscritti “dal federalismo alla nuova legge elettorale”, ma occorre, sostiene il presidente dei Ds, “un impegno comune che metta al sicuro la governabilità del Paese. Non sarebbe accettabile usare la leva delle riforme per mettere in crisi gli attuali equilibri politici”.Assai più dettagliata la presa di posizione di Fassino che si preoccupa di dare risposte alle dure contestazioni che gli sono state rivolte dall’interno dei Ds. Spiega anche lui, come D’Alema: ”L’obiettivo è che il Pd sia un partito e non una semplice federazione di partiti”. Ed ecco il percorso: “nei congressi del 2007 i partiti deliberano di dare vita ad una fase costituente insieme agli altri soggetti associativi.
In quei congressi i partiti non si sciolgono, ma vivono accompagnando la costruzione del nuovo partito che via via organizza le sue strutture, la sua azione politica e i suoi organi. Nel processo costituente vengono promosse forme di partecipazione e di pieno coinvolgimento di cittadini ed elettori”. Il partito deve essere pronto a presentarsi alle elezioni europee del 2009.Tutto fatto, allora? Tutti d’accordo? I tre interventi contemporanei sono soprattutto una conferma di quanto spiegazioni e chiarimenti fossero ormai non più rinviabili. Ma i vari tentativi di rassicurare non riescono a nascondere le difficoltà interne ai due maggiori partiti.Rutelli ad esempio cita con un fastidio rivelatore di una crisi grave la mozione di Parisi e altri prodiani. Il congresso della Margherita potrebbe riservare sorprese: non è affatto scontato infatti che alla fine si chiuda unitariamente: il partito è spaccato, e, anche se la forza degli amici di Prodi è assolutamente minoritaria, non è del tutto scomparsa la voglia di farsi un loro partito, il partito di Prodi.D’Alema e Fassino sembrano a loro volta prigionieri di una duplice e identica preoccupazione: rassicurare che i Ds non si sciolgono a primavera, che il partito nuovo sarà un partito vero e non una federazione, e che comunque il suo programma avrà l’obiettivo di cambiare e innovare fortemente il Paese. In sostanza né il segretario né il presidente dei Ds si preoccupano troppo di convincere quelle aree interne decisamente schierate a favore di una soluzione definitiva di tipo federativo e che paventano uno spostamento verso il centro delle linee di programma.
Le immediate reazioni negative alle posizioni di Fassino e D’Alema provenienti appunto dalle zone di forte dissenso confermano che le difficoltà non sono ancora risolte. Tema dominante della protesta resta il No allo scioglimento: “Lo hanno solo spostato al 2009, non eliminato” dicono infatti in coro da Caldarola a Salvi.Insomma, anche dopo questi interventi, il Pd rischia di apparire sempre più il partito che tutti dicono di volere ma sulla cui nascita non si è disposti a scommettere fino in fondo. C’è un male oscuro che ancora lo minaccia. E le varie mozioni congressuali ne sono una spia più che concreta. Forse i leader di Ds e Margherita avrebbero dovuto affrontare prima i problemi che oggi cercano di spiegare. Certamente tutti coloro che dicono di esser impegnati nello sforzo unitario dovrebbero esserlo fino in fondo, da subito, sottolineando tutte le buone ragioni che ancora suggeriscono di stare insieme piuttosto di minacciare di andare ognuno per la propria strada, piccola, ma apparentemente sicura.Chi resta schiacciato in questa infinita contesa, è la società, l’insieme dei cittadini elettori e sostenitori. Che vedono allontanarsi sempre di più la possibilità di avere una voce qualsiasi nel processo costituente, di tornare a credere nella politica con la stessa forza con cui hanno voluto credere in altri momenti. Senza mai avere soddisfazione. E soprattutto senza che mai questo paese faccia un vero passo avanti sulla via del progresso e di una moderna democrazia.E’ possibile che solo oggi ci si renda conto di quanto suonasse sbagliata la formula spesso ripetuta in ambienti ulivisti “il Pd c’è già, è già nato”? Essa è servita soltanto a illudere la gente.
Proprio ieri Marco Minniti, vice ministro agli Interni, riferendosi al congresso di primavera, ha detto all’Unità: “Non siamo all’esito conclusivo ma al punto di partenza”. Spiacevole, forse, ma realistico.
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