Partito democratico domani è già tardi

21 Maggio 2006

La costruzione del Partito Democratico procede. A parole. Un passo avanti e qualcun altro indietro. Senza un disegno chiaro. Senza scadenze chiare. Oggi, d´altronde, il problema principale, per l´Unione, è governare. E resistere. Il più a lungo possibile. Poi, verrà il momento del Partito Democratico (PD). Oppure dell´Ulivo. Il nome non conta. Il tempo non conta. Davvero? Noi dubitiamo: che sia possibile zigzagare tra PD, Ulivo e partiti ancora a lungo. Il tempo – temiamo – ormai è scaduto. D´altronde, dopo il voto del 9 aprile, l´iniziativa è passata nelle mani delle segreterie di partito. Che hanno proceduto: un passo avanti e qualche altro indietro. Come nel passato. Quando si sono fatte liste unitarie alla Camera ma non al Senato; in alcune regioni e in altre no. Oggi, hanno costituito gruppi parlamentari unitari in entrambi i rami del Parlamento. Così l´Ulivo riunisce 218 deputati e 101 senatori. Nessun partito, nelle precedenti legislature, ha mai potuto disporre di una base tanto ampia.Tuttavia, questi gruppi parlamentari unitari, fin qui, non hanno certamente seguito logiche unitarie. Nell´elezione delle principali cariche istituzionali: alla Camera e al Senato, come alla Presidenza della Repubblica, hanno prevalso le spinte partigiane. Talora, di fazione. Nella Margherita e nei Ds. Mai sentito parlare tanto di (ex) democristiani e di (ex) comunisti come in questa occasione. Lo stesso è avvenuto nella formazione del Governo. Per cui, il premier, Romano Prodi, è stato affiancato da due vice: D´Alema e Rutelli.

In rappresentanza dei Ds e della Margherita. Soci fondatori del PD da fondare. Mentre il numero dei ministri (per non parlare dei sottosegretari) è aumentato.Seguendo logiche di partito. E di fazione. Così, a qualcuno, la scelta di Piero Fassino di restare nel partito, per dedicarsi alla costruzione del PD, rinunciando ad entrare nel governo, è apparsa un´esclusione, più che una decisione. Lo stesso Prodi, la cui legittimazione dipende dall´affermarsi del progetto unitario, sembra rassegnato a “fare l´Ulivo a Roma”. Allargando la presenza degli uomini a lui più vicini, nel governo. Insinuando l´Ulivo, come un partito fra i partiti. Al di là delle parole e delle buone (spesso sincere) intenzioni espresse dai protagonisti, il PD ci sembra, oggi, un progetto più difficile e lontano.Anche se le “buone ragioni” per realizzarlo in fretta sono evidenti a tutti. La prima è di evidenza statistica. Vale la pena di ribadirla, anche se è nota. Alle recenti elezioni, l´Ulivo ha totalizzato, alla Camera, il 3% in più rispetto ai Ds e alla Margherita, che, al Senato, si sono presentati da soli. Complessivamente, la lista Unitaria ha preso meno voti solo in 4 province, concentrate nel Sud (Avellino, Reggio Calabria, Trapani e Cosenza), mentre in Basilicata si è registrata totale coincidenza di risultato, fra Camera e Senato. Nelle rimanenti province (99, escluse le province autonome, la Valle d´Aosta e il Molise) l´Ulivo ha intercettato consensi maggiori rispetto alla somma di quelli ottenuti da Ds e Margherita.

Parallelamente, alla Camera, l´Ulivo è risultato la lista più votata in 85 province. Forza Italia in 23. La pretesa di Fi di presentarsi come il primo partito in Italia, se l´Ulivo fosse un soggetto politico e non solo una lista, apparirebbe, appunto, una pretesa. Infondata. Anzi: Fi non sarebbe neppure il primo partito del Nord. Dove l´Ulivo è la lista più votata in 23 province, Fi in 12. Il problema, appunto, è che l´Ulivo è un partito che (forse) verrà. Per ora (e per chissà quanto) resta un cartello elettorale fra Ds e Margherita. I quali, conteggiando insieme i voti ottenuti al Senato separatamente, superano FI in 71 province. Tredici in meno rispetto a quel che accade all´Ulivo.Il «vantaggio elettorale» offerto dall´Ulivo (o dal PD) non è casuale.Riflette una domanda di unità e di partecipazione molto diffusa fra gli elettori di centrosinistra. Emersa in tutte le precedenti elezioni politiche. Resa esplicita dall´eccezionale affluenza alle primarie dello scorso ottobre.Il che suggerisce una seconda, importante buona ragione per accelerare la costruzione del PD. Rafforzare il legame fra politica e società, fra partiti e territorio. Fondamentale per il centrosinistra. E oggi, paradossalmente, argomentato proprio dalla Cdl. La quale sostiene che l´Unione avrebbe vinto le elezioni per caso e magari con la frode. Visto che la maggioranza degli elettori avrebbe votato a destra. Ipotesi infondata: anche se di un soffio, l´Unione ha prevalso alla Camera, dove il corpo elettorale è più ampio, rispetto al Senato (a meno di considerare gli elettori con meno di 25 anni meno cittadini degli altri).

Visto che il centrosinistra governa nella maggioranza delle regioni e delle città più grandi. Non solo nelle zone rosse del Centro Italia. Ma anche nel Mezzogiorno e nel Nord.Rinchiudersi nel Palazzo. E resistere. Sperare e contare nel voto dei senatori a vita e di quelli eletti all´estero. Accettare e subire l´immagine di una vittoria elettorale dimezzata. Ci sembra davvero deplorevole. E rischioso. Visto che la Cdl, soprattutto Berlusconi e la Lega, cercheranno di utilizzare il referendum sulle riforme istituzionali, del prossimo mese, per marcare ulteriormente l´isolamento dell´Unione rispetto alla società.Trasformandolo in un referendum pro o contro il centrosinistra, pro o contro il governo. Rinviare ancora la costituzione del PD, oppure ridurla a un´operazione di palazzo, da avviare “dopo”, quando le emergenze politiche nazionali saranno risolte, significa affrontare questa sfida sperando, come sempre, in una mobilitazione “reazionaria”. Per “reagire” al “fattore B”.Costruire il PD, quindi, fa guadagnare voti, propone un partito di dimensione europea, il più forte in Italia, contribuisce a saldare i rapporti fra centro e periferia. Dà radici più forti al governo.Eppure il progetto zoppica. Nonostante tutti, o quasi, i leader dei Ds e della Margherita si dicano determinati a “fare il Partito Democratico”. Tuttavia, poi, predicano cautela. Denunciano il rischio dell´antipolitica. Promosso da quanti invocano (o comunque vorrebbero) la palingenesi. La dissoluzione dei partiti, delle loro eredità ideali e organizzative.

Giusta preoccupazione.Espressa, però, da partiti ridotti allo scheletro. Che, insieme, non raggiungono il peso elettorale della Dc o del Pci. Partiti piccoli o medi, dall´identità opaca. Indefinibile. I Ds: post-comunisti incerti fra il riferimento socialista, social-liberale, blairiano, clintoniano. La Margherita: melting pot di popolari, laici, repubblicani, ecologisti, referendari. Costruire un nuovo soggetto politico potrebbe rafforzare, invece che indebolire, le ispirazioni e le tradizioni politiche. Valorizzarle, attraverso il confronto. Il dialogo.Il progetto del PD: lo abbiamo sentito annunciare tante volte, negli ultimi anni (prima si chiamava Ulivo). E altrettanto è stato rinviato, aggiornato, dimezzato. Soffocato dal dibattito metodologico su “chi” e “come”. “Chi” deve promuovere il PD? Il centro o la periferia? I partiti o la società civile? “Come”?Attraverso un percorso guidato dalle segreterie? Oppure dai movimenti, dai circoli, comitati? Un´alternativa sterile. Che non porta da nessuna parte. Le leadership dei partiti, lasciate sole, tenderanno inevitabilmente ad attuare strategie di dilazione e diluizione. Per istinto di sopravvivenza. Perché a nessuno è dato di accelerare la propria estinzione. O di ridimensionare i propri privilegi. Ma chi si richiama alla forza etica e profetica della “società civile”, in realtà, coinvolge – e rappresenta – solo cerchie ristrette, per quanto attive, della società. Ne esclude le componenti meno “militanti”, ma, per questo, più “rappresentative” del territorio e degli elettori.

Il PD non può venire costruito “contro” e “senza” i partiti. Ma neppure delegato ad essi e ai loro gruppi dirigenti.Per avviare la costruzione del progetto unitario conviene, quindi, affidarsi ai soggetti che “stanno nel mezzo”. Fra Roma e la periferia. Fra il governo e i cittadini. Fra le segreterie dei partiti e gli elettori. Coloro che da anni hanno sperimentato i vantaggi e i problemi dell´unità. Mediando fra partiti, associazioni, gruppi, cittadini. Fra livello locale e centrale. I sindaci, i presidenti delle regioni. Il Partito Democratico: ne promuovano la “costruzione” Veltroni, Bassolino, Cacciari, Chiamparino, Illy, Cofferati.Non “dopo”, ma “durante” la campagna referendaria. Che li riguarda direttamente. Il Partito Democratico. Lo facciano insieme ai leader dei partiti nazionali. Li “aiutino” a vincere le resistenze dell´ambiente in cui agiscono. Ma subito. Se vogliono che questo progetto mantenga un minimo di credibilità. Perché il tempo è scaduto.

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