Un incontro per riflettere e comprendere la nuova riforma elettorale. Ce n’era bisogno. L’altra sera a Roma, nell’accogliente libreria Bibli di Trastevere “Libertà e Giustizia” ha promosso un ampio e dinamico dibattito che ha messo a confronto il costituzionalista Stefano Ceccanti ed i senatori Cinzia Dato (Margherita) e Giorgio Tonini (DS), insieme coordinati da Marco Damilano, firma de “L’espresso”. Tutti concordi sulle due parole chiave: democrazia e governabilità. Concetti che esprimono le vette a cui una legge elettorale ottimale dovrebbe mirare. Sono parole “calde” come accenna Damilano che parla di “restaurazione del proporzionale”, come suggerito da Michele Salvati.E’ Stefano Ceccanti a mettere subito in evidenza gli effetti negativi derivanti dalla scomparsa di qualsiasi nome dalle liste elettorali. Una spersonalizzazione avvertibile in campagna elettorale e con ripercussioni sulla rappresenza politica. E’ inoltre evidente la difficoltà di ottenere una maggioranza stabile e in entrambi i rami del Parlamento. Al Senato la maggioranza (probabile) di 6-8 seggi risulterebbe risibile e non in grado di assicurare la giusta stabilità. O meglio in altri Paesi la potrebbe assicurare, ma non in Italia, dove vige un multipartitismo accentuato. Perché si è scelto di correre con liste separate al Senato? “Decisione politica, non certo tecnica.” Dunque il costituzionalista ammonisce riguardo alla fragilità che la coalizione di centronisinistra potrebbe manifestare una volta al governo: “se noi non costruiamo un partito prima o poi cade il governo”.
Il partito a cui allude Ceccanti è il Partito Democratico, la cui nascita rimane ancora incerta ed indefinita.Cinzia Dato è scontenta della “restaurazione del proporzionale” e della riforma costituzionale, che “non può essere oggetto di campagna elettorele”. La senatrice della Margherita verifica che il premio di maggioranza della nuova legge elettorale, peraltro giudicata incostituzionale, non costituisce un rimedio in grado di supplire l’eliminazione dei collegi uninominali. Sempre guardando all’attuale premio, evidenzia, “la legge truffa del ’53 non era poi così scandalosa”. E ancora: “il maggioritario è la sintesi del pluralismo”. Il proporzionale realizza un pluralismo fallace, con conseguente effetto disgregante. La democrazia nei partiti, sottolinea, “ può esplicarsi anche all’interno dei contenitori e non necessariamente la proliferazione di piccoli partiti aiuta” .E sulle donne in politica? “Chiediamoci non solo quante donne, ma quali donne”Giorgio Tonini interviene domandandosi marzullianamente “Perché hanno fatto questa legge?”. Si concede la giusta risposta nel giro di pochi minuti, non prima di aver ricordato che il centrodestra del 2001, forte di 500.000 voti conquistati in cabina, aveva progressivamente perso elettori. In un primo tempo l’idea di rinuncia riguardava solo l’uninominale, poi le Regionali 2005 hanno decretato l’abbandono del maggioritario. Il senatore DS esclama: “ Vogliono rendere più difficile il nostro governo”.
Ma è il “grande pantano”, la zona grigia, il centro della Prima Repubblica a rappresentare il massimo pericolo della prossima legislatura. Tonini sottolinea ironicamente: “Mastella, all’ultimo congresso, aveva preparato due relazioni: una per la “rottura”, l’altra per l “accordo” (con il centrosinistra) e conclude “Sì al Partito Democratico, ma senza particolarismi e con coraggio”Tra gli interventi in platea diversi sono gli umori: nella prossima legislatura si riuscirà a cambiare questa legge elettorale? Maggioritario o proporzionale? Con quali rischi? Ma tra i relatori e l’attento pubblico sembra emergere una convergenza solida su una soluzione dalla gestazione complessa, ma dall’appeal forte: l’approdo al Partito Democratico.
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