Alla fine di questa penosa vicenda delle primarie e delle liste unitarie qualcuno dovrà cedere. I Ds hanno formalmente chiesto a Bertinotti di non candidarsi insieme o contro Prodi. Bertinotti ha risposto che non ci pensa nemmeno lontanamente.
La Margherita, allarmata per la vittoria di Vendola, dà segni di volerci ripensare: un po’ su tutto.
E il cosìdetto popolo dell’Ulivo, secondo un rapporto redatto da Giampaolo Fabris ma anche secondo il coro di voci che ci raggiunge ogni giorno, teme la sconfitta ed è preso da “disincanto, frustrazione ma anche aggressività”.
Il popolo dell’Ulivo, diciamolo con semplicità e chiarezza, a costo di apparire demagoghi, non ne può più. Ha esaurito la pazienza con la quale ha accolto gli scontri dei mesi, degli anni passati, e si prepara appunto alla fuga e al disimpegno. Semmai cerca qualcosa di nuovo e di estraneo ai litigi e in Puglia lo ha trovato nel personaggio Vendola che è un essere umanamente straordinario anche se non dovesse appartenere alla schiera dei vincenti, che appare comunque esigua se non sparuta.
A costo di esser ripetitivi, diciamo ancora una volta che non siamo ingenui, ci rendiamo conto di quanto sia complesso e faticoso far nascere qualcosa di nuovo, sia esso qualcosa di simile a un soggetto politico, sia semplicemente una intesa politica fra alleati volta a vincere le elezioni. Non siamo ingenui. Ma non ci rassegniamo all’idea che la difficoltà sia insormontabile, che la strada dell’accordo sia continuamente interrotta da massi buttati lì con estrema noncuranza delle sofferenze altrui: sì, parlo di sofferenza, perché noi del centrosinistra stiamo soffrendo e non solo a causa di Berlusconi.
E la nostra sofferenza è sul punto di diventare insofferenza.
Quando Prodi è tornato in campo ha chiesto due cose a suo avviso essenziali per vincere le politiche: liste unitarie e primarie. Le prime per dare un segnale politico forte, sin dalle regionali, di una unità forte, più forte delle rivendicazioni sacrosante delle singole forze politiche. Le primarie per convincere se stesso e gli altri che la sua candidatura non è solo imposta dai partiti e dunque avendo con sé la base avrà anche la forza di governare secondo un programma e un esecutivo sostanzialmente scelti da lui.
Lì per lì la risposta è stata positiva da parte di tutti. Qualche mugugno si è sentito nei corridoi. Poi la protesta è diventata qualcosa di più corposo. Oggi è quasi assordante. La Margherita rimprovera al professore di non aver tenuto conto delle sue esigenze: non siamo pronti, abbiamo bisogno di contarci, abbiamo bisogno di far pesare la nostra centralità, di verificare il nostro peso per non essere ingoiati dai Ds. La sinistra Ds ha protestato per timore che i riformisti diventassero davvero il cuore del partito, indebolendo una fantomatica politica di sinistra. La barra ferma l’ha tenuta fino ad ora Piero Fassino. Ma anche lui, dopo l’esito della Puglia e col congresso alle porte, non ha molto spazio per reggere.
Ma sarebbe facile dire che è tutta colpa della Puglia. Infatti, a mio avviso, anche la Puglia è a sua volta figlia di questa insopportabilità dei comportamenti.
Le fughe in avanti sul piano del programma, il non perdere alcuna occasione per distinguersi, per attaccarsi, per criticarsi. La gratuità di certe dispute filosofico-storiche… tutto questo ha finito, come ho già detto, per stufare.
Ed ora bisogna che la sofferenza non diventi insofferenza. Che ognuno si fermi e rifletta. Non si blocchi su questioni di amor proprio. Fate un passo indietro, per favore. Tutti, anche Prodi: se vede che il tempo non è maturo per quel progetto a cui tutti ci siamo affezionati e abbiamo creduto, veda un po’ se non è il caso di modificarlo. Sapendo che lui aveva ragione e gli altri torto. Ma che il suo compito è anche un po’ quello di padre della Patria.
Sissignori: abbiano bisogno di un padre della Patria, che perdoni i nostri peccati e ci faccia vincere le elezioni.
Troppo chiedere?