Il “taglio alla politica” è un classico cavallo di battaglia del populismo. Nell’Italia repubblicana, questo refrain è stato cantato originariamente da liberali e monarchici (contrari ai partiti di massa) e, soprattutto, da Guglielmo Giannini, che nel libro La folla (1945) e con il movimento dell’Uomo Qualunque propose un parlamento sorteggiato con lo scopo di rendere i partiti inutili (resi necessari, invece, dalle elezioni).
L’antipolitica e l’antipartitismo si sono alimentati (insieme al declino di legittimità dei partiti che avevavo scritto la Costituzione e al successo della televisione) per approdare alla più radicale campagna contro la democrazia dei partiti: lo slogan “Roma ladrona” della Lega Nord di Bossi era la voce di un partito populista, che voleva guidare la secessione dallo Stato unitario e la sepoltura della casta. I resti di quella battaglia sono, oggi, il regionalismo differenziato e il referendum per il taglio dei parlamentati.
La linfa dell’antiestablishment ha nutrito quasi tutti i partiti, nuovi e nuovissimi. Come dimenticare la scesa in campo di Silvio Berlusconi con la sua Forza Italia come “un non-partitto”? Generato dal sistema di corruzione contro il quale chiedeva il voto agli italiani, Berlusconi riuscì a convincere che la sua propaganda era puro liberalismo perché contro la “paritocrazia”.
All’ombra dell’antipolitica populista e videocratica sono cresciuti i più prominenti leader politici di oggi. Figli della democrazia del pubblico, ‘rottamatori’ di tutte le caste preesistenti la loro. E, fatalmente, invece di buttare a mare i politici corrotti e ridare dignità all’istituzione democratica per eccellenza, il Parlamento, la loro retorica ha attaccato e attacca la politica.
E arriviamo all’oggi, alla madre di tutte le battaglie populiste, quella per il “taglio dei parlamentari” voluta dal M5S, ben poco amica della democrazia perché produce una potatura drastica della rappresentanza nostra, con il risultato di depotenziare la nostra voce e incrementare il potere degli eletti e delle maggioranze.
Con partiti solo nelle istituzioni, un Parlamento così potato sarà di e dei notabili. Senza un sistema elettorale proporziale, farà essenzialmente da grancassa a chi governa, mentre le sue funzioni classiche, quella della rappresentanza della maggior parte delle istanze e delle idee che vivono nel Paese e quella del controllo del governo saranno ridotte. I forti nella società avranno più forza in Parlamento.
Il treno della campagna referendaria è già stato messo sui binari. La recente bocciatura della proposta del taglio dei vitalizi alla Commissione Contenziosa del Senato ha dato ossigeno al riallineamento propagandistico: “tutti i populisti uniti!”. Commentando pochi giorni fa ad Agorà il voto contro il taglio dei vitalizi, Salvini si è messo alla guida della locomotiva quando ha commentato: “Noi abbiamo votato contro, ma non siamo stati sufficienti”. E’ una chiamata a raccolta di tutti i populisti contro la rappresentanza parlamentare. Con l’esito di mettersi saldamente a capo di un establishment ancora più potente e intoccabile.
L’Espresso, 5 luglio 2020
Nilde Iotti da Presidente della Camera, in un’intervista televisiva con Raffaella Carrà (che gira e girerà di più), affermava che dopo l’avvento delle regioni coi loro parlamentini, un Parlamento di 945 seggi fosse pletorico.
Nel 1985 i proff Ferrara, Rodotà e altri di livello, avendo focalizzato l’inutilità di una seconda camera paritaria o replicante, elaborarono una Riforma Monocamerale che esaltava la centralità del Parlamento, salvaguardando lo Spirito Originale ed Autentico della Carta, tagliando per effetto collaterale, una montagna di inutile burocrazia e 2,5 miliardi a legislatura.
Lunedì 20/07/20 Luciano Violante, già Presidente della Camera, su Repubblica scriveva: “Il bicameralismo ripetitivo poteva andar bene nella prima metà del secolo scorso, ma oggi è mortificante per la dignità istituzionale del Parlamento.”
La via maestra ed unica per la prevalenza del No al referendum sta nella contemporanea offerta alternativa della Riforma Monocamerale dei proff Ferrara e Rodotà, che soddisfa chi vuole punire la casta, come chi ambisce riforme razionali e funzionali. E che mantenendo 630 seggi conserva il rapporto eletti/elettori sotto 1/100mila per una reppresentanza congrua se non ottimale, meglio espressa da una legge elettorale uninominale di collegio (si intenda a doppio turno) con candidati residenti nel collegio da tempo sufficiente per una buona loro conoscenza.
Offerta alternativa Monocamerale Ferrara/Rodotà indispensabile per impedire che indegni mediocri possano vantarsi di aver messo mano nella Carta Costituzionale profanandola irrimediabilmente…
Paolo Barbieri, socio circolo di La Spezia