La svolta autoritaria e la democrazia in bilico

09 Ott 2018

Sandra Bonsanti Presidente emerita Libertà e Giustizia

“Il punto di arrivo è sconfiggere la miseria, perché la miseria esaspera i nazionalismi, incoraggia le avventure, soprattutto suggerisce la sfiducia nella inutile libertà. Solo dove la democrazia ha saputo vincere la miseria, il popolo ha fiducia nelle istituzioni democratiche ed è pronto a difenderle a costo della vita . (Bobbio citazione da Calamandrei)”.

Non scorderò mai quel giorno del marzo 2014 quando insieme a Nadia Urbinati scrivemmo il testo di un appello di Libertà e Giustizia che chiamammo “Verso la svolta autoritaria”. Da allora quel titolo ha assunto un significato quasi profetico, sintesi di un timore e simbolo di una situazione che prima o poi era destinata ad avverarsi.

Al nostro testo arrivarono nel giro di poche ore le adesioni di alcuni maestri del pensiero critico che ci convinsero di aver colto nel segno, sintetizzando in poco più  di venti righe la preoccupazione che fosse proprio “il leader del Pd a prendere in mano il timone della svolta autoritaria”, neutralizzando così l’opinione e la reazione dell’opposizione. Firmarono Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare e Alessandro Pace, Paul Ginsborg e Maurizio Landini, e tutto il mondo di LeG. Del tutto imprevista ci arrivò l’adesione di Gianroberto Casaleggio.

Ricordo oggi quel momento perché sollecitata dai tweet mattinieri di Matteo Renzi che spesso si diletta a chiedere dove siano oggi quelli della svolta autoritaria…e perché a suo dire essi stiano silenti mentre il Paese è nelle mani di chi fa cose assai più gravi di quelle di cui lo accusavamo, nel 2014. Certo che mi irritano, le sue parole e la falsità delle sue affermazioni. Ma proprio per questo scelgo una strada più lunga e tranquilla, che ricordi a tutti noi gli appelli per una buona politica, le denunce negli anni di Berlusconi e in quelli che sono seguiti. Voglio cercare di ricordare a me stessa da cosa veniamo e il perché dell’appello del 2014 che ci accompagnò al referendum contro la riforma di Renzi e Boschi. Percorrere questa strada può offrirci spiegazioni importanti sull’origine dei rischi attuali, soprattutto sulla voglia crescente di autoritarismo camuffato da rispetto per il popolo, che non è una malattia soltanto italiana, ma anche per questo ancora più temibile: altro che tweet…servirebbe un pensiero forte, concreto, convincente, profondamente democratico.

Libertà e Giustizia fu fondata nel novembre del 2002 per “spronare i partiti ad esercitare fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi”. Un obiettivo mai raggiunto e sempre inseguito per passarci l’un l’altro il testimone di un’Italia onesta e laboriosa, senza ricevere nulla in cambio, ma tanto da un punto di vista culturale, di incoraggiamento, di memoria storica , di progetti per il futuro dei giovani che da allora hanno frequentato i nostri circoli e le nostre scuole. Abbiamo spronato i partiti  insieme a cittadini impegnati contro la mafia e il potere occulto, gente che si batte affinché il voto possa essere libero e sia possibile contare su un Parlamento di eletti, che ci rappresentino nel governo della cosa comune.

Fu così che ci accorgemmo, nella primavera del 2005, che in Senato si stava discutendo una riforma della Costituzione scritta da alcuni parlamentari  in una baita di Lorenzago: un testo osceno. Con l’aiuto di Altan ( “La Costituzione è in pericolo!”. “Interveniamo, o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?”) e la pagina di un giornale spiegammo cosa stava accadendo, nel silenzio generale. In ufficio arrivarono i ringraziamenti sei senatori di opposizione che non erano riusciti a superare il muro del potere berlusconiano: la solitudine era spezzata e io scrissi per il nostro sito un testo intitolato “Salviamo la Costituzione”.

Quante volte, da allora abbiamo dovuto ripetere quella frase. Oscar Luigi Scalfaro accettò di presiedere il comitato referendario, aiutato dal suo antico amico Leopoldo Elia. Ci riunivamo nella sede nazionale della Cgil e raccogliemmo le 500.000 firme (anzi quasi un milione) insieme a un popolo che da allora non è mai andato a casa, cittadini e associazioni che aveva o capito quale fosse la posta in gioco: la trasformazione della nostra Italia nata dalla Resistenza in un Paese con meno diritti, un Paese con un Parlamento delegittimato in vista di un governo rafforzato e nelle mani di pochi. Un presidenzialismo senza check and balance, senza contappesi. Il giorno prima  del voto ci arrivò anche il “NO” del presidente Ciampi e scrivemmo: “Andiamo a votare    a testa alta: la Costituzione è di tutti”. E il “NO” vinse con quasi sedici milioni di voti, contro i dieci del “Sì”. Era il 25 giugno del 2006, da poco più di due mesi Romano Prodi governava il Paese mentre Ds e Margherita se le davano ogni giorno di santa ragione.

In pieno agosto del 2007 ricevo una telefonata da un deputato vicino a Veltroni. Io ero negli Usa. Mi viene chiesto di fare da garante delle liste del nascituro Pd per la Toscana: chiedo un parere ai nostri garanti, avrei accettato ma senza chiedere un posto in lista per me. Altri soci di LeG mi aiutano nel difficile lavoro. Ma ci rendiamo conto presto della nostra inutilità: tutto è già deciso a tavolino, tanti ex Dc, tanti ex Pci, e nessuno spazio per i più giovani che speravano davvero di realizzare il sogno di un grande partito democratico, aperto, scalabile. Il Pd è una fusione fredda. Veltroni lo sa e sembra indifferente. Si torna a votare nell’aprile del 2008 e Veltroni fa una campagna elettorale strana: non cita mai per nome Silvio Berlusconi convinto che parlare di lui non serva.

Perché? Chiamiamo a discutere tutti i leader democratici a Milano da Krizia: la domanda più frequente è : perché durante il governo Prodi non avete cancellato le leggi vergogna di Berlusconi? Nessuna risposta.

“Rompiamo il silenzio” è il primo manifesto che Gustavo Zagrebelsky scrive per Libertà e Giustizia. E’ il 7 febbraio del 2009 quando su una pagina di Repubblica esce “Rompiamo il silenzio”: in poche ore sottoscrivono 200.000 cittadini. Il manifesto diventa una bandiera per tutti coloro che denunciano il decadimento etico e sociale della democrazia in Italia: “Non vedere è non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico”.

Rileggere oggi quella disperata denuncia è un esercizio molto utile a chi volesse capire dove nasce la situazione presente, l’imbarbarimento, l’ignoranza, la demagogia. Direi che date quelle premesse non poteva che finire così. Il decadimento etico denunciato dal manifesto poteva essere “facilmente il terreno di coltura della demagogia, ciò da cui il nostro Paese, particolarmente, non è immune”. Un atto di accusa durissimo contro una politica a cui si chiede “di non tollerare al proprio interno faccendieri e corrotti, ancorché portatori di voti” e di “non usare le candidature nelle elezioni come risorse improprie per risolvere problemi interni, per ripescare personaggi, per cedere a ricatti”. Chiediamo infine di “Promuovere l’obbligatorio ricambio della classe dirigente”.

Niente di tutto ciò accade. Un anno dopo, febbraio del 2010, secondo manifesto di Zagrebelsky, “Il vuoto”. Un testo  profetico, col quale si chiede al Pd meno autoreferenzialità, meno convegni, fondazioni, laboratori “e più presenza fra i cittadini, dove si svolge la loro vita e dove si crea il legame che si manifesta nel consenso elettorale”. Ci rivolgiamo all’opposizione chiedendo di dare segnali di vita. Firmano anche Umberto Eco, Gae Aulenti e Paul Ginsborg. Il 21 giugno pubblichiamo un nuovi appello chiedendo “Mai più alle urne con questa legge” e il 2 ottobre Paul Ginsborg sale sul palco di Piazza San Giovanni affollato dal “popolo viola” per chiedere a nome di LeG l’abrogazione del Porcellum. Sono mesi febbrili, il governo del Cavaliere è sempre più minaccioso, Berlusconi arriva a chiedere una commissione d’inchiesta sui magistrati.

Il 20 gennaio del 2011 con un appello scritto in inglese (firmato da Zagrebelsky, Ginsborg e da me) chiediamo formalmente le dimissioni di Berlusconi . Un appello (“Resignation) che mandiamo agli amici italiani nel mondo chiedendo la loro solidarietà.  Ma dovremo aspettare il 16 novembre per vederlo salire al Quirinale, e   al suo posto comincia una serie di governi delle larghe intese, formula voluta da Giorgio Napolitano che affida a Mario Monti la presidenza del Consiglio.

Intanto a Firenze c’è un sindaco che scalda i motori. LeG lo osserva con interesse quando parla di rinnovare i quadri del Pd e critica la vecchia classe dirigente. Un giorno se ne va, di nascosto, a pranzo ad Arcore. Così il  19 luglio gli scrivo su Repubblica di Firenze una lunga lettera dal titolo: “Caro sindaco ti scrivo per sapere con chi stai”. Lui risponde: un paginone, che non risponde alle mie domande. Si capisce che non è ostile a Berlusconi e al berlusconismo.

L’Italia sta cambiando: la osserviamo e cerchiamo di capire cosa verrà oltre la rottamazione… Vediamo che c’è una scalata, una sorta di OPA che riguarda direttamente il Pd e Matteo Renzi che perde le primarie del dicembre 2012 e vince quelle del dicembre successivo col 67 per cento dei voti. E’ segretario del Pd e meno di due mesi dopo , il 22 gennaio del 2014, scalza Letta da Palazzo Chigi, con la benedizione di Giorgio Napolitano il quale a sua volta sembra preso da una sua foga di scalzare anche la Costituzione così come ci hanno intimato nella primavera precedente gli esperti della J.P. Morgan.

Una riforma accolta sia da Letta che da Renzi. Ed è il tempo della più grande manifestazione organizzata da LeG insieme alla Fiom di Landini, a Libera di don Ciotti : sulla scia del manifesto intitolato “La via Maestra” (titolo che sono orgogliosa di essermi inventato…) Piazza del Popolo è piena fino a non contenerci. C’è una parole d’ordine che ci attraversa tutti: “Anche noi abbiamo le nostre ineludibili riforme, ma sono quelle, spiegano Rodotà e Zagrebelsky che servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla”. “Non ci faremo asfaltare”: è la promessa conclusiva di Zagrebelsky.

E così è stato.  Fino al referendum del 4 dicembre 2016. Fino alle elezioni del 4 marzo scorso, quando la Lega e i Cinque Stelle si sono presi la scena, e abbiamo avuto la conferma che la politica renziana aveva rottamato il Pd e il futuro di una sinistra di governo. E oggi, frastornati dalla tempesta di notizie sempre più gravi (aggressioni neofasciste, respingimenti di disperati, progetti minacciosi per la libera stampa e per il libero Palamento, una crisi finanziaria dietro l’angolo e una Europa dall’incerto futuro)  non facciamo che chiederci come sia potuto accadere, quando è successo che l’Italia assumesse questo volto truce, se potevamo fare qualcosa per evitare …

Saper rispondere vorrebbe dire anche avere pronta una ricetta. Nel dubbio ho cercato di percorrere il cammino delle denunce che facevamo quando volevamo rompere il silenzio, quando accusavamo il “vuoto”. Quando ci opponevamo allo stravolgimento della Costituzione. E’ stata una classe politica molto corrotta e molto miope quella che ci ha guidato. Ripiegata su se stessa, dedita all’acquisizione di potere personale e di gruppo. Una classe politica insaziabile.

E nel “vuoto” e nella delusione crescente è cresciuta drammaticamente la lontananza dei cittadini, la perdita dei riferimenti e , infine, delle nostre radici.

La “miseria” di cui parlavano Calamandrei e Bobbio ha fatto il resto, generando la sfiducia. Dove siamo, noi della svolta autoritaria, ironizzano i tweet di Matteo Renzi. Io non gli rispondo, le sue battute dovrebbero esser spiritose, ma accrescono la malinconia. E poi io non conto nulla.

Sono una antifascista invecchiata che non vorrebbe vivere per la seconda volta nella sua vita gli orrori della violenza, del razzismo, della mancanza di cultura. Vorrei che la gente non soffrisse: la fame e il freddo me li ricordo e ancora non so cosa sia peggio, l’uno o l’altra. Certo i due insieme. Vorrei che i giovani potessero amare la vita, non temerla. Sono una giornalista che ama la libertà di stampa e che pensa che sarebbe meglio che non ci fossero i portavoce del governo e le loro telefonate intimidatorie. Pensa che ogni giornale che chiude sia una sconfitta per tutti.

Pensa che la Costituzione debba essere attuata: oggi non ci  sono le condizioni per modificarla, né le garanzie che non venga stravolta.

E penso ai tanti cittadini con i quali abbiamo vissuto decenni di impegno: scorrono davanti al mio sguardo, compagne e compagni. Siamo invecchiati insieme, nelle piazze, nelle manifestazioni, nelle ore trascorse a limare comunicati ed appelli. Niente di questo andrà perduto. Gli uomini del nuovo potere stiano sereni: non tireremo i remi in barca. Il nostro è un mare aperto, da sempre solcato da chi portava civiltà e cultura e amore per l’umanità.

Siamo sempre quelli della svolta autoritaria.

 

Nata a Pisa nel 1937, sposata, ha tre figlie. Si è laureata in etruscologia a Firenze e ha vissuto per molti anni a New York. Ha cominciato la sua attività professionale nel 1969 al “Mondo” con Arrigo Benedetti.

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