Le liste pulite, prima garanzia

06 Set 2012

Quando è stato scritto, qualche mese fa, che la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe dato soddisfazione a una domanda del Paese, non abbiamo registrato, nel mondo politico, obiezioni e riserve. Leggi anche il comunicato di LeG, l’articolo di Arturo Meli e quello di Piero Ignazi

Quando è stato scritto, qualche mese fa, che la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe dato soddisfazione a una domanda del Paese, non abbiamo registrato, nel mondo politico, obiezioni e riserve. Quando è stato ricordato che gli italiani non volevano più andare alle urne per votare liste confezionate nelle segreterie dei partiti, ci è sembrato che tutte le maggiori forze politiche ne fossero consapevoli. Quando molti hanno ricordato che la legge contro la corruzione non è necessaria perché richiesta dall’Europa, ma anche e soprattutto perché serve a contrastare il virus della sfiducia nelle istituzioni che circola ormai come il sangue nelle vene del Paese, nessuno li ha pubblicamente contraddetti. E quando abbiamo creduto che queste fossero le misure su cui i partiti avrebbero concentrato ogni loro sforzo nei mesi seguenti, abbiamo pensato che la politica italiana avesse finalmente imboccato, per concludere decorosamente una difficile legislatura, la strada giusta. Mentre il governo dei tecnici faceva del suo meglio per risanare i conti dello Stato e smentire il pessimismo dei mercati, i maggiori partiti avrebbero usato del tempo di cui disponevano per dimostrare che avevano capito lo stato d’animo del Paese, che non potevano affrontare gli elettori senza avere risolto alcuni dei problemi più lungamente e inutilmente dibattuti nella storia politica italiana.
Ci sembrò, oltretutto, che i partiti ne avessero la convenienza. Avrebbero evitato di provare al Paese che non vogliono diminuire il numero dei parlamentari, che non sono capaci di accordarsi sui concetti di corruzione e concussione, e che l’attuale legge elettorale, anche quando affermano il contrario, è quella che maggiormente corrisponde ai bisogni di una nomenklatura preoccupata soprattutto dalla propria sopravvivenza e dalla gelosa conservazione delle sue prerogative. Naturalmente non lo ammetteranno mai, e gli italiani corrono così il rischio di assistere, nei prossimi mesi, alla commedia delle accuse reciproche. Ma spero che non si illudano. Anche se qualcuno, soprattutto in materia di corruzione, può essere più responsabile degli altri, il risultato sarà quello di aumentare il disgusto per la politica dei politici e soprattutto per un Parlamento che verrà considerato incapace di rivendicare ed esercitare il proprio ruolo. Ciò che maggiormente colpisce in questa vicenda è la cecità dei maggiori partiti. Credono di lavorare per i propri interessi e stanno invece lavorando per quelli dei loro nemici, vale a dire per quella velenosa combinazione di demagogia e populismo che si sta diffondendo nella società nazionale.
In questo quadro sconsolatamente negativo rimane una sola speranza. Se ci toccherà ancora una volta di votare con il Porcellum, non vorremmo trovare nelle liste persone impresentabili. Siamo garantisti e sappiamo che una indagine non equivale a una condanna. Ma le segreterie, dal momento che non vogliono privarsi del diritto di scegliere i candidati, dovrebbero almeno impegnarsi pubblicamente a rispettare questo elementare principio di moralità politica: non servirsi del Parlamento per mettere qualche loro compagno al riparo dalla giustizia.

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