Modesta proposta per la riforma elettorale

15 Lug 2011

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

.”Mai più alle urne con questa legge elettorale!”. Questo è ciò che da molti s´è detto in scritti, convegni, conferenze, conversazioni che non si contano più, e che abbiamo tante volte ripetuto a noi stessi guardando allo spettacolo politico che abbiamo davanti agli occhi. Si farebbe un errore madornale se si considerasse come un semplice, normale e in fondo fisiologico stato d´animo insoddisfatto quello che è un dato obiettivo, cioè una pubblica, diffusa opinione, giunta ormai sull´orlo di un ripudio, dalle conseguenze imprevedibili, nei confronti d´una “classe politica” che su questa legge elettorale s´è modellata e si prepara a riprodursi.
Non è nemmeno il caso di ritornare, se non per accenni, sulle ragioni di quel “mai più”: un assurdo premio elettorale che trasforma una piccola minoranza (sia pure la più grande delle piccole) in una larghissima maggioranza parlamentare; il “blocco” delle candidature scelte dai vertici di partito per ragioni spesso opache, sempre meno politiche e sempre più di clan e di clientela; un Parlamento che ha drammaticamente smarrito il suo senso politico, il cui pregio sembra esser l´obbedienza; deputati e senatori di cui non si conosce il pensiero, posto che un pensiero ci sia, per i quali la coerenza non è una virtù, ma lo sono la fedeltà e l´obbedienza o, al contrario, il tradimento, il trasformismo, la corruzione. Una generalizzazione ingenerosa? Può essere.
Ma la generalizzazione è divenuta un dato, che deve essere preso come tale, realisticamente; un dato che va molto al di là dell´antiparlamentarismo endemico. L´indegnità di pochi ridonda inevitabilmente in discredito di tutti, soprattutto se latitano gli anticorpi, onde si ha un bel condannare i giudizi sommari. Quel “mai più!” dice in breve il non essere disposti di tanti cittadini a portar ancora acqua all´interesse di chi appartiene a giri d´interesse e di potere, invisibili e talora occulti; giri che operano spesso fuori, o contro la legge comune e che, all´occorrenza, la legge se la fanno a piacere. Voi che sedete in Parlamento e, soprattutto, voi che, per quel che vi riguarda, vi ribellate all´idea d´essere considerati così, siete consapevoli che questo è il ritratto che, fuori dagli ambienti dove siete di casa, viene fatto di voi? Non vi dice nulla il fatto che non c´è quasi più manifestazione pubblica non promossa da partiti in cui non si chieda loro di non farsi vedere o di non farsi riconoscere? Non è questo, un campanello di massimo allarme?
2. L´appello a liberarci da una legge elettorale perfettamente coerente con questo degrado delle istituzioni parlamentari deve essere ribadito, quando il tempo di nuove elezioni s´avvicina. Non bisogna guardare alle convenienze di parte. Anche se la legge attuale, quella che porta il nome Calderoli, secondo gli orientamenti elettorali attuali potrebbe servire a sconfiggere il centro-destra, a mettere in difficoltà qualche partito di quella coalizione e a far vincere il centro-sinistra: anche se così fosse, non ci si deve far prendere da questo genere di argomenti. Non solo le previsioni, in questo campo, sono sempre infingarde; soprattutto, in materia di democrazia e costituzione, si deve ragionare indipendentemente dalle (presunte) convenienze particolari e contingenti. Altrimenti, finiremmo per adeguarci proprio a coloro che in tutto questo tempo di degrado della vita pubblica abbiamo criticato per la loro concezione strumentale delle istituzioni, a coloro che le hanno umiliate ponendole al servizio degli interessi di alcuni contro quelli di tutti. Quando – a iniziare dalla manifestazione del 5 febbraio al PalaSharp di Milano – un´associazione come Libertà e Giustizia ha chiesto le dimissioni del Presidente del Consiglio e del suo governo, l´ha fatto non come atto di opposizione meramente politica o, tantomeno, d´intolleranza personale, ma come difesa di istituzioni mai come ora dileggiate, privatizzate, violentate. Il problema non è sconfiggere un avversario con i suoi stessi mezzi, ma incominciare a ragionare e operare per ricostruire la vita pubblica su altre basi.
3. Quel “mai più!” mira all´abrogazione della legge Calderoli, non a introdurne specificamente un´altra, come risultato di scelte preferenziali tra diverse opzioni: innanzitutto, tra la prospettiva maggioritaria e quella proporzionale e poi, all´interno di queste opzioni, tra le numerose possibilità di articolazione che la fantasia elettoralistica e gli esempi di diritto elettorale comparato offrono con dovizia ai nostri volenterosi riformatori: premi di maggioranza e clausole di sbarramento, dimensioni dei collegi, recupero dei voti, turno singolo e doppio, apparentamenti, desistenze, ecc., tutte cose che fanno le gioie e le paure dei diretti interessati. Se ci s´incammina nella selva delle tante possibilità, il risultato è e sarà la somma d´ipotesi contraddittorie che non si sommano nel risultato ma si elidono, con l´effetto di paralizzare la riforma e confermare la legge elettorale che c´è: a onta di tutte le dichiarazioni d´intenzione di quanti sinceramente dicono di volerla cambiare e a beneficio di coloro che, e destra e soprattutto a manca, parlano solo pro forma, mentre si augurano che nulla cambi, per non rinunciar a godere delle delizie elettorali presenti.
4. Poiché, peraltro, un sistema elettorale deve pur esserci, non bastando dire di no a quello che c´è, il ripristino di quello anteriore, che prende il nome dal suo inventore, Mattarella, potrebbe essere la soluzione per colmare decorosamente il vuoto determinato dall´abrogazione della Calderoli. Ciò in attesa che, nei tempi necessari e certamente non brevi, venga a formarsi in Parlamento un consenso sufficientemente vasto su una riforma elettorale semplice, facilmente comprensibile per i cittadini, dettata nell´interesse della democrazia e destinata a valere stabilmente per il futuro. A questo fine, la strada più semplice passa per una piccola legge fatta di due proposizioni: è abrogata la legge attuale ed è riportata in vita la legge precedente. La strada più semplice, ma anche la più sicura. La via alternativa – il referendum abrogativo – era ed è d´incerta percorribilità: non è certo che dall´abrogazione derivi di per sé il ripristino della legge precedente. Potrebbe semplicemente determinarsi il vuoto, ma il vuoto, in materia elettorale, è inconcepibile perché renderebbe impossibile il rinnovo degli organi elettivi e bloccherebbe la democrazia in uno dei suoi aspetti maggiori. Per questo, un simile referendum potrebbe non superare il vaglio di ammissibilità presso la Corte costituzionale.
5. In Parlamento, in questi mesi, nulla di significativo è accaduto e ora, nel tempo stretto che precede le prossime elezioni politiche, siamo in presenza di diverse proposte referendarie, per le quali è iniziata o sta per iniziare la raccolta delle firme necessarie. Ancora una volta, siamo nel pieno della confusione. Tutte mirano al superamento della legge vigente e, in questo, sono meritorie. Tuttavia, una (Passigli) comporta il ripristino della proporzionale (con uno sbarramento contro la frammentazione al 4%, ma – a quel che si può capire – col mantenimento delle liste bloccate, in mano ai partiti); un´altra (settori del Pd) riproporrebbe la Mattarella (una combinazione di logica proporzionale e logica uninominale maggioritaria); un´altra ancora, spuntata nell´ultima ora (costituzionalisti vari), preluderebbe a un sistema esclusivamente maggioritario-uninominale. Nessuna di queste iniziative si presenta accompagnata da una ragionevole probabilità d´essere ammessa dalla Corte costituzionale, o per il carattere accentuatamente manipolativo dell´operazione di taglia-cuci sul testo della legge in vigore, o per l´incerta speranza che all´abrogazione pura e semplice della legge che c´è segua l´automatica rinascita della legge che c´era. In più – aspetto non considerato finora – le tre iniziative sono così diverse l´una dall´altra da impedire che possano raggrupparsi per somiglianza, finendo così per elidersi l´una con l´altra: supponiamo che, nel referendum, due o tutte e tre ottengano la maggioranza. Sarebbe il caos. Quale sarebbe la legge sulla quale si potrebbe contare? Presumibilmente, questo scenario da incubo costituzionale spingerebbe la Corte costituzionale sulla via dell´inammissibilità e tutto resterebbe fermo, come prima, come adesso. Con la massima soddisfazione di coloro – temiamo siano tanti – che dicono che tutto deve cambiare perché nulla cambi.
6. L´unica strada percorribile – sempre che si voglia – è ancora quella suggerita a suo tempo, che chiama alla loro responsabilità coloro che in Parlamento dicono di volere cambiare. Basterebbe una piccola legge composta di due frasi: la legge Calderoli è abrogata; la legge Mattarella è riportata in vigore. Nessuna prospettiva sarebbe pregiudicata e i proporzionalisti come i “maggioritaristi” potrebbero lavorare con calma per costruire in futuro, attorno alle proprie posizioni, il consenso necessario. A prima vista, in questa congiuntura politica, se esiste una “classe dirigente” – come ama autodefinirsi – non dovrebbe essere del tutto fuori del campo delle sue possibilità costruire le alleanze parlamentari in vista di questa temporanea soluzione, soprattutto ora, quando la maggioranza mostra di vedere, nel confronto con l´opposizione, una necessità vitale. Bisognerebbe avere il coraggio di fare una mossa, porre questioni, non solo aspettare inerti e subire. Il rischio d´insabbiamento, a discutere ancora al proprio interno di nuove e creative soluzioni legislative, farraginose e del tutto prive di possibilità di successo (in sede Pd, si è da ultimo ripresa l´idea d´un maggioritario a doppio turno con recupero proporzionale e “diritto di tribuna” – cosa allettante! -; come se non bastassero le soluzioni à la spagnola, francese, tedesca, inglese, israeliana, ecc., è comparsa quella “all´ungherese”), è molto elevato. Così elevato che il continuare su questa strada giustifica il sospetto che, sotto sotto, la Calderoli vada a genio a molti che pur dicono d´avversarla. Continuare a dividersi sulle soluzioni e contemporaneamente appoggiare (vero o finto) i referendum significa che alla prossima tornata andremo di sicuro a votare ancora con la legge attuale: le elezioni sono vicine e, se del caso, basta che i sostenitori dello status quo le anticipino un poco, perché i referendum, ammesso che si raccolgano le firme necessarie, slittino d´un anno, cioè a cose fatte.
7. Che cosa resta, allora, dei referendum? Molta incertezza e confusione e limitato entusiasmo; qualche speranza tuttavia nella sollecitazione di chi, in Parlamento, sente la responsabilità di raccogliere il malessere e la domanda di cambiamento che salgono da una parte crescente del nostro Paese.

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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