La legge di bilancio nel sistema di guerra

20 Dicembre 2025

Articolo pubblicato su il Manifesto
Alfonso Gianni, 20 Dic 2025

Titolo originale La legge di bilancio nel sistema di guerra

ⓒ Foto Lorella Beretta

Dietro la reiterata retorica della sicurezza dello Stato, sta il proposito della riconversione bellica di non piccola parte della produzione industriale, nonché il rafforzamento di basi militari. Una manovra che guarda alle elezioni del prossimo anno, scommettendo sulla guerra.

La legge di bilancio era stata definita dai suoi oppositori sbagliata e priva di ambizioni. L’ammontare modesto della manovra – 18,7 miliardi – pareva accreditare questa tesi, come pure i giudizi critici espressi nelle audizioni da esponenti di varie istituzioni di rilievo.

Come l’Istat, la Corte dei Conti, la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamentare di Bilancio, che si aggiungevano alle stroncature più esplicite della Cgil, che rompeva il clima da “austerità silenziosa” proclamando la scorsa settimana uno sciopero generale, nonché delle associazioni degli enti locali. Persino Confindustria si mostrava quasi interdetta di fronte alle oltre 600 pagine del disegno di legge, per poi rianimarsi dopo le modifiche introdotte dal governo ad esclusivo vantaggio delle imprese. Il mantra dei “conti in ordine” sembrava la cifra dominante dell’intera operazione.

Una manovra per così dire di passaggio, proiettata già nel clima preelettorale del prossimo anno ove l’uscita dalla procedura di infrazione potrà permettere di incrementare ulteriormente le spese militari e di elargire concrete regalie a quegli strati sociali dai quali le forze della destra si aspettano un ritorno di voto per mantenersi in sella. Ma le cose non sono e non stanno andando esattamente così. Certamente il mantra resta quello, ma il confronto interno alle destre, assai più che con le opposizioni, ha intorbidito e increspato non poco le acque, tanto da richiedere una riscrittura di fatto della legge che, ad onta dei tempi brevissimi su cui incombe l’incubo del bilancio provvisorio, non garantisce ancora un totale ricompattamento dello schieramento governativo.

Il maxiemendamento ha elevato la portata della manovra a 22,2 miliardi, ma questo non ha ancora messo al sicuro il ministro dell’economia da pesanti critiche provenienti dal suo stesso partito. Il problema non sta nella litigiosità delle forze di governo, come ripetitivamente viene rimproverato dall’opposizione, ma da ragioni obiettive. La prima delle quali sta nel fatto che il nostro paese, come del resto la Ue nel suo complesso, pur non trascurando le doverose distinzioni tra un paese e l’altro, è sempre più immerso in un sistema di guerra, ove non solo l’economia, ma la cultura, l’istruzione, l’informazione, l’assetto democratico-istituzionale, le libertà e i diritti dei cittadini, il classico equilibrio dei poteri legislativo-esecutivo-giudiziario, le collocazioni e le relazioni internazionali sono tutti contemporaneamente curvati entro la dimensione della preparazione della guerra.

Tout se tient, si potrebbe dire con una locuzione un po’ abusata ma ancora efficace. In questo quadro non sorprende il via libera della Commissione bilancio del Senato alla proposta del governo che spinge l’acceleratore sulla produzione e il commercio delle armi. Dietro la reiterata retorica della sicurezza dello Stato, sta il proposito della riconversione bellica di non piccola parte della produzione industriale, nonché il rafforzamento di basi militari per renderle funzionali ai test dei nuovi carri armati e altri mezzi prodotti da Leonardo e la costruzione di nuove piste di addestramento per gli F-35.

La polemica fra la Lega, che insiste sul controllo di strade e stazioni e il ministro Crosetto proiettato più verso il potenziamento di un armamento offensivo, trova così un accomodamento, trattandosi, quella della repressione del conflitto e del dissenso interni – con la conseguente militarizzazione del territorio, comprese le banchine dei porti – e quella della risposta al programma europeo di riarmo in vista della fatidica data del 2030, di due facce di una stessa medaglia. Riarmo e repressione. E di quest’ultima abbiamo il recentissimo esempio dello sgombero di Askatasuna, di cui va colto il monito generale nei confronti dell’esercizio di culture e politiche alternative e della gestione di spazi liberati dal soffocante neoliberismo incrudelito che caratterizza specificatamente questo governo.

Anche l’accresciuto sostegno alle scuole paritarie non è solo l’ennesimo passo verso la debilitazione dell’istruzione pubblica, ma risponde alla necessità di fare passare più celermente e sicuramente il nuovo spirito patriottico di cui sono impregnati messaggi e linee guida del ministero dell’istruzione. L’accanimento contro il sistema pensionistico pubblico è in parte rientrato, almeno nella sua forma più vistosa, quale l’incredibile misura per cui il trattamento di fine rapporto andrebbe a rimpinguare i Fondi integrativi privati in assenza di un esplicito diniego da parte del lavoratore, come se il Tfr non fosse salario differito, quindi di sua proprietà.

Anche sul riscatto della laurea c’è un dietrofront. Ma non c’è da gridare allo scampato pericolo visto che ciò si presenta come l’esito di uno scontro interno alla maggioranza, senza che una opposizione non proprio compatta vi metta becco – penalizzata dai regolamenti parlamentari che strozzano ogni spazio di discussione – e che si vocifera di un nuovo decreto di fine anno dove infilare ciò che per ora è stato stralciato.

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