L’attacco alla magistratura in Italia e in Europa

05 Dicembre 2025

Mariarosaria Guglielmi presidente MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés)

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

La ridefinizione degli equilibri istituzionali a favore del potere esecutivo, e a scapito di Tribunali indipendenti, è uno degli aspetti costanti della regressione democratica. Ungheria e Polonia due casi studio.

Gli osservatori che studiano lo “stato di salute” delle democrazie parlano di «un’ondata di autocratizzazione ormai davvero globale»: l’ultimo rapporto dell’Istituto V-DEM (Varieties of Democracy)1, pubblicato nel marzo 2025 e riferito all’anno 2024, conferma non solo il declino della democrazia, particolarmente marcato nell’Europa orientale, nell’Asia meridionale e centrale, ma un processo di autocratizzazione palese all’interno dell’Unione europea che interessa, fra gli altri, paesi come la Grecia, oltre che Ungheria e Romania, mentre segnali di tendenze preoccupanti emergono sempre più per Cipro, Italia, Paesi Bassi, Portogallo; per la prima volta da oltre vent’anni, si legge nel rapporto, nel mondo si contano meno democrazie che autocrazie, e le democrazie liberali sono diventate il tipo di sistema meno diffuso. 

Uno scenario, questo, che possiamo considerare già superato alla luce dei cambiamenti radicali arrivati dopo le elezioni americane dello scorso novembre, che hanno portato ulteriore slancio e impresso un’accelerazione al processo di autocratizzazione e di crisi globale della democrazia. Gli Stati Uniti, precisa il rapporto, meritano una nota speciale: considerando il breve periodo successivo alle elezioni del novembre 2024, nel capitolo dedicato agli Stati Uniti (USA – A Democratic Breakdown in the Making?) il rapporto sottolinea che quello che stava (già) succedendo negli USA «era senza precedenti» e si presentava come il periodo di autocratizzazione più veloce che quel Paese abbia mai vissuto nella storia moderna.

L’esperienza di MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés), che raccoglie 25 associazioni di giudici e pubblici ministeri di 17 paesi del Consiglio di Europa, ci ha offerto in questi anni una capacità di lettura più ampia delle involuzioni che hanno colpito i sistemi giudiziari nei contesti nazionali, evidenziando che la ridefinizione degli equilibri istituzionali a favore del potere esecutivo, e a scapito di Tribunali indipendenti, è uno degli aspetti costanti della regressione democratica. E oggi l’attacco ai sistemi giudiziari appare come una componente strutturale dei processi di autocratizzazione: come sottolinea il Report V-DEM il sistema giudiziario è una delle principali istituzioni che gli autocrati prendono di mira durante la loro ascesa al potere, soprattutto all’inizio poichè «per cambiare il sistema, è infatti necessario che lo Stato di diritto sia a favore degli aspiranti autocrati».

Le riforme che – con soluzioni variabili, ma tutte ormai ampiamente sperimentate – mirano a smantellare le garanzie istituzionali e ordinamentali di indipendenza della magistratura, a “catturare” i tribunali e a manipolare dall’interno le istituzioni chiave del sistema giudiziario (come i Consigli di giustizia) sono dovunque sostenute da aggressive campagne mediatiche contro le decisioni giudiziarie, i singoli magistrati, le loro associazioni. 

I giudici “nemici del popolo”: la tensione e l’insofferenza verso i sistemi giudiziari e la funzione stessa della giurisdizione (in quanto garanzia imparziale dei diritti e delle libertà) sono parte della retorica e delle dinamiche del populismo contemporaneo, che ha messo radici nella maggior parte dei Paesi europei. Nel suo saggio Enemies of the People, Jan-Werner Müller sottolinea il legame strutturale fra populismo e quello che chiama anti-juridicalism: «gli attacchi all’indipendenza della magistratura fanno parte della logica stessa del populismo: i populisti sostengono che loro e solo loro rappresentano il popolo, con la conseguenza che qualsiasi critica (o qualunque cosa possa essere interpretata come critica) da parte di istituzioni non elette e indipendenti viene liquidata come non legittima (e questo vale tanto per i media liberi quanto per la magistratura)». 

Ungheria e Polonia, i due casi più citati e noti di regressione democratica in Europa, nelle loro specificità offrono molti motivi di riflessione sui rischi esistenziali che corre oggi lo Stato di diritto, anche nell’Unione europea, e sull’efficacia dei meccanismi di risposta messi in atto dalla Commissione europea a partire dal 2014. Strumenti che – anche quando, come nel caso della Polonia, sono stati utilizzati in maniera più tempestiva e assertiva – non hanno di fatto impedito ulteriori evoluzioni del processo di regressione. 

Le vicende di questi due paesi offrono anche l’esempio di come, nella strategia della governance populista, rientrino “soluzioni” volte a mantenere una parvenza di rispetto dei limiti costituzionali:conservare la facciata delle istituzioni giudiziarie che possano coesistere con i governi populisti e consentire a questi di «massimizzare le opportunità di esercitare il potere arbitrario in nome di un popolo omogeneo e virtuoso» (Müller).

Attraverso le testimonianze delle sue associazioni di giudici e pubblici ministeri, MEDEL ha vissuto sin dal principio l’avvio della stagione delle riforme dirompenti adottate dal governo polacco a partire dal 2015, sull’onda del consenso raccolto nelle urne e della maggioranza assoluta ottenuta dal PiS in Parlamento. 

Il primo passo è stato realizzato con l’intervento finalizzato ad acquisire il controllo politico sulla Corte costituzionale: un’operazione che ha raggiunto l’obiettivo del governo di trasformare l’organo garante dei presidi costituzionali in un alleato fedele dell’esecutivo nell’attuazione del piano finalizzato a scardinarli; la manipolazione dall’interno del sistema giudiziario ha portato alla creazione dei tribunali solo apparentemente stabiliti dalla legge:tribunali di facciata, come le nuove sezioni della Corte suprema  (la Camera disciplinare e la Camera di revisione straordinaria e affari pubblici), e quelli risultati dall’innesto nelle corti ordinarie di “neogiudici”, nominati dal Consiglio superiore (KRS), a sua volta trasformato dalle riforma in longa manus del governo: con il passaggio del potere di eleggere i 15 componenti togati del Consiglio dalle rispettive assemblee dei giudici al Sejm ( Camera bassa del Parlamento), il KRS cessava infatti di essere organo di tutela della magistratura e si trasformava in uno dei più attivi fautori della distruzione – dall’interno – della sua indipendenza.

Nel quadro di una ridefinizione degli equilibri a favore dell’esecutivo, non poteva mancare l’intervento sulla Procura: il PiS al governo sanciva la fine del processo di democratizzazione della Procura iniziato nel 2009 e, in violazione del principio stesso della separazione dei poteri, imponeva la riunificazione nella stessa persona delle funzioni di ministro della Giustizia e di Procuratore generale che, con l’aumento dei suoi poteri in relazione all’organizzazione interna dei tribunali, alla nomina e revoca di presidenti e vicepresidenti, e alla responsabilità disciplinare dei giudici, si trasformava nell’utile e potente strumento per garantire la presa dell’esecutivo sulle corti ed esercitare una pressione straordinaria sui singoli giudici.

Se la Polonia oggi è alle prese con una difficile opera di ricostruzione dello Stato di diritto, ulteriormente complicata dalla situazione politica di assoluta incertezza legata all’esito delle elezioni presidenziali, l’Ungheria di Orbán continua sulla sua strada di sfida aperta e dichiarata all’Unione e al suo sistema di valori. 

Anche in questo caso, il processo di erosione democratica ha preso avvio nel 2011 con un’intensa attività riformatrice dell’intero assetto costituzionale, favorita dalla forza acquista in Parlamento con le elezioni generali dell’anno prima dalla maggioranza di governo. Quello che è stato definito il “costituzionalismo abusivo” di Orbán andava a colpire anzitutto competenze e composizione della Corte costituzionale, in modo da ricondurla al controllo della sfera politica, e del Consiglio nazionale della magistratura (CNM): nel caso del Consiglio superiore ungherese, la strategia non era quella della manipolazione dall’interno con il cambiamento dei suoi componenti, ma del suo “svuotamento”, attraverso il trasferimento dei poteri a un nuovo Ufficio giudiziario nazionale (UGN) presieduto da un magistrato eletto dal Parlamento per nove anni. 

Ungheria e Polonia restano gli esempi delle più dirompenti strategie di demolizione dell’indipendenza dei sistemi giudiziari che abbiamo conosciuto in questi anni, anche per la morsa che l’esecutivo ha imposto (o tentato di imporre) in vario modo alle libertà di associazione e di parola dei magistrati: aggressive campagne mediatiche orchestrate contro singoli giudici, finalizzate a consolidare nella percezione esterna un’immagine distorta di una magistratura che agisce per finalità abusive, in violazione dei suoi doveri di imparzialità; ritorsioni con procedimenti disciplinari e sospensioni dalle funzioni e riforme per limitare con legge la libertà di espressione dei giudici, come nel caso della cd. muzzle law polacca.

Basta guardare agli sviluppi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla violazione dell’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in relazione alla libertà di parola dei magistrati per avere la conferma di quanto sia stato sistematico l’attacco che questo diritto ha subito negli anni e nei contesti di regressione democratica come quello polacco e ungherese. 

Ma il quadro delle attuali criticità per lo Stato di diritto e i sistemi giudiziari in Europa è molto più articolato, come confermano le vicende di Bulgaria e Romania e la posta in gioco, come ha scritto Laurent Pech, dopo oltre un decennio di arretramento democratico rischia di essere la lenta disintegrazione dell’ordine giuridico dell’Unione europea come sistema basato sullo Stato di diritto.

L’altra faccia di questo processo è infatti l’attacco agli snodi e agli attori fondamentali del nostro sistema di tutela giurisdizionale sovranazionale. Non è un caso che in Ungheria e in Polonia, insieme a quelle per demolire strutturalmente le basi dell’indipendenza della magistratura, sono state fatte riforme per impedire ai giudici – sotto la pressione di sanzioni disciplinari – di affermare il primato del diritto europeo e di avvalersi degli strumenti, come il rinvio pregiudiziale, funzionali a garantire tale primato e la sua uniforme ed effettiva applicazione.  

E, alla luce degli ultimi sviluppi, la dimensione di attacco allo stato di diritto appare ormai globale: basta ricordare le sanzioni dell’amministrazione US per i giudici della Corte Penale Internazionale, ma anche contro i giudici della Corte brasiliana dopo la condanna di Bolsonaro.

È in questo contesto che vanno analizzati i cambiamenti negli ambiti nazionali e gli effetti di sistema sulla tenuta dello Stato di diritto prodotti da riforme costituzionali, come quella appena approvata dal Parlamento italiano, che disarticolano il nostro impianto costituzionale relativo all’assetto della magistratura, e intervengono su equilibri essenziali per la democrazia.

Analizzata dall’osservatorio di Medel,  la riforma costituzionale va a colpire la capacità di resilienza dei sistemi giudiziari legata al loro assetto ordinamentale: il pubblico ministero, oggi dotato di uno statuto solido di garanzia della sua indipendenza che,  come evidenzia la Special rapporteur delle Nazioni Unite per l’indipendenza dei giudici, procuratori e avvocati nella sua lettera indirizzata il 23 ottobre al governo italiano2, rischia di perdere questo status e garanzie anzitutto relative alla indipendenza esterna; un’Alta Corte che – è sempre la Special rapporteur a dirlo – pone questioni particolarmente preoccupanti per l’indipendenza della magistratura come l’essere giudice di primo e secondo grado, senza garanzia di revisione indipendente e che, pur avendo una competenza così cruciale, strettamente correlata all’indipendenza giudiziaria, avrà una composizione affidata anzitutto al “caso” e alle scelte fatte con una legge successiva ordinaria; un Consiglio superiore che non sarà solo diviso, ma privato di funzioni e caratteristiche essenziali – come quelle nell’ambito disciplinare – di rappresentatività  e di legittimazione, interna ed esterna, necessarie per poter svolgere appieno il suo ruolo di garante dell’indipendenza del sistema giudiziario, i complessi compiti relativi all’amministrazione della giurisdizione e per assumere un nuovo ruolo-guida nel promuovere un migliore equilibrio dei poteri, nell’esprimere e far comprendere la funzione essenziale di una magistratura indipendente e responsabile all’interno di uno Stato di diritto. Un ruolo-guida essenziale in tempi di regressione democratica, come sottolineato da rilevanti documenti europei3.

Come ha ricordato Medel4, in un contesto di attacco globale alla democrazia, allo Stato di diritto e all’indipendenza della magistratura, le autorità nazionali dovrebbero garantire il sistema di controlli e contrappesi, anziché indebolirlo. E rafforzare le barriere di sicurezza della democrazia, come la temperanza istituzionale di cui parlano Steven Levitsky e Damiel Ziblatt nel famoso saggio Come muoiono le democrazie: l’opposto della tendenza a «sfruttare senza alcun freno le proprie prerogative istituzionali», con riforme di parte e volute da una parte, attraverso quel pesante gioco costituzionale  che spinge al limite le regole, una forma di «combattimento istituzionale che mira a sbaragliare in modo definitivo gli avversari, senza preoccuparsi della sopravvivenza del gioco democratico». 

  1. https://www.v-dem.net/documents/61/v-dem-dr__2025_lowres_v2.pdf ↩︎
  2.  https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=30446 ↩︎
  3. “Dichiarazione di Lisbona” della Rete europea dei Consigli di Giustizia 2018,  https://pgwrk-websitemedia.s3.eu-west-1.amazonaws.com/production/pwk-web-encj2017-p/ENCJ%20Lisbon%20Declaration%20final%201%20June%20-%20adopted%20GA.pdf  ↩︎
  4. https://www.questionegiustizia.it/articolo/dichiarazione-di-medel-sulla-riforma-costituzionale-della-magistratura-in-italia ↩︎

Mariarosaria Guglielmi è presidente di MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés).
Dal 2016 al 2021 è stata segretaria generale di Magistratura democratica.
Ha svolto le funzioni di sostituto procuratore a Roma e in altre sedi; dal 2021 è procuratrice europea delegata presso l’ufficio in Roma della Procura europea (Eppo).

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