Non ci si rende conto di quanto rischiosa sia l’attuale congiuntura politica. Forse perché l’intero Occidente sembra muoversi all’unisono (con qualche eccezione) verso regimi autoritari e società ineguali e gerarchiche. Come i pesci non si accorgono dell’acqua in cui nuotano, così noi non ci accorgiamo delle trasformazioni quotidiane.
Gramsci parlava di trasformazione egemonica. Tanti tasselli sono stati collocati e lasciano intravedere, poco a poco, il puzzle. Alcuni esempi. Il linguaggio, da anni diventato una fucina di assalti violenti contro le persone, spesso vuoto di idee. La scuola, luogo di formazione all’obbedienza. L’università che, in una bozza di riforma in discussione, verrebbe controllata in ogni ateneo da un funzionario nominato dal governo. La vita civile, che fa apparire ogni contestazione come violenza o insubordinazione, e spinge i cittadini a farsi i fatti loro. Conformismo civile.
È opinione diffusa nei nostri paesi che le regole democratiche siano in grado di addomesticare gli eversori. Un realismo utopistico. In Germania, dove pure non si è creduto molto nel potere trasformativo delle istituzioni, lo Stato democratico è intervenuto a vari livelli: attraverso la politica culturale della memoria e l’esclusione, più decisa della nostra, delle forze politiche antidemocratiche dalla competizione elettorale.
Eppure, i movimenti nazifascisti tornano ad avere seggi nel Bundestag, competendo con nomi camuffati per idee estreme che circolano da anni nell’Europa democratica, come la sottrazione dalla nazione delle componenti dichiarate estranee per ragioni etniche e religiose. L’immigrazione è stata la fucina della destra nell’era democratica. Una destra che è fascista nelle sue radici ideologiche, anche quando si conforma alle regole della democrazia elettorale. Fino a quando?
Vincere con regole democratiche non fa la democrazia. Questa banale norma non sembra transitare nelle menti né negli scritti di tanti opinionisti e cittadini. Non solo si diffondono menzogne, come quella secondo cui Mussolini avrebbe vinto le elezioni. Ma, quel che è peggio, si identifica la democrazia con la vittoria elettorale.
Ci hanno spiegato non i radicali democratici, ma i minimalisti democratici, che la democrazia è un sistema politico e istituzionale legittimato da regole di libera competizione per la determinazione della maggioranza e dell’opposizione. La democrazia non la si riconosce dalla vittoria, ma dall’accettazione della sconfitta. La stabilità della democrazia sta nel fatto che chi perde non rovescia il tavolo e chi vince non cambia le regole per restare al potere. Non voler andarsene è la molla del potere che le costituzioni democratiche hanno cercato di depotenziare. La nuova destra è questa molla.
Ci sono diversi modi per restare in sella. In passato abbiamo avuto violente marce di fanatici e colpi di Stato. Da qualche decennio, nei paesi occidentali si stanno sperimentando altre strategie. La più gettonata è la riforma della costituzione vigente. La destra vuole costituzionalizzarsi. E lo fa non scrivendo ex novo la costituzione (per cui servirebbe una rivolta eversiva), ma tosando quella democratica, con regole e norme che rendono più difficile l’alternanza. Ridisegnare la giustizia, eleggere direttamente il capo del governo e, magari, riscrivere la legge elettorale con un premio di maggioranza che imiti la Legge Acerbo del 1925.
Il caso ungherese mostra bene il collasso della distinzione tra politica “ordinaria” e politica “costituzionale”. La costituzionalizzazione della destra ha lo scopo di congelare la sua maggioranza. La destra al potere vuole rendere la democrazia, e a volte ci riesce, in un estremo maggioritarismo. Per vincere il più a lungo possibile.
Dalla regola di maggioranza, come procedura per prendere decisioni in un clima di pluralismo, si passa al dominio della maggioranza in un clima in cui il pluralismo è trattato come un ostacolo al processo decisionale rapido: questa è la radicale trasformazione di mentalità, ancor prima che istituzionale, che la nuova destra mette in atto.
Non basta vincere le elezioni per essere democratici. Alla base di ciò sta il fatto, banale ma, a quanto pare, dimenticato, che nella democrazia costituzionale il popolo (e i suoi rappresentanti) non sta sopra la legge, mentre nell’ordine ipermaggioritario il leader che conquista il consenso elettorale dichiara di essere la volontà del popolo.
Gli scienziati politici lo definiscono “legalismo discriminatorio”, secondo la massima “tutto per i miei amici; il rigore della legge per i nemici”. È per perseguire questo progetto che la destra sfodera un attivismo riormatore così intenso. Tutte le sue riforme sono inanellate e interdipendenti, tenute insieme dallo stravolgimento della democrazia in un regime della maggioranza.


Luigi Manconi