Torna sul tappeto la questione del cambiamento della legge elettorale di Camera e Senato. Non è una novità: dal 1993 sono state approvate quattro leggi elettorali, due delle quali dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale nel 2014 e nel 2017 in quanto comprimevano eccessivamente i principi della rappresentanza e dell’eguaglianza del voto. Ora la maggioranza tenta il bis: al Senato è già in discussione un disegno di legge presentato dai capigruppo del centro-destra che modifica la legge elettorale per i Comuni con più di 15.000 abitanti; tra i leader della maggioranza è in discussione un progetto predisposto da un comitato ristretto di cambiamento della legge elettorale nazionale. Sul metodo nulla di nuovo: come già accaduto in passato la maggioranza vuole apparecchiarsi un sistema più favorevole per poter rivincere le elezioni e intende farlo nell’ultima parte della legislatura, a ridosso di importanti elezioni comunali e del rinnovo delle Camere, metodo stigmatizzato dalla Commissione di Venezia nell’ambito del Consiglio d’Europa. La direzione verso la quale si muovono i progetti di riforma è chiara: rafforzamento o introduzione del premio di maggioranza, centralità del capo del Governo scelto dal popolo, compressione della libertà del voto degli elettori.
Per i Comuni medio-grandi è evidente il tentativo di evitare al massimo il ballottaggio che il centro-destra considera meno favorevole, riducendo dalla maggioranza assoluta al 40% dei voti il quorum per essere eletto sindaco. La giustificazione secondo cui al ballottaggio vincerebbe spesso il candidato meno votato al primo turno è falsa, in quanto i dati dimostrano che quasi sempre prevale il candidato che aveva avuto più voti. Ne deriverebbe una delegittimazione del sindaco eletto con il nuovo quorum, che potrebbe avere il voto di meno di un quarto degli elettori. Inoltre viene abolito il diritto dell’elettore di disgiungere il voto dato al candidato sindaco da quello dato a una lista o coalizione anche a lui non collegata, che può produrre una diversa maggioranza consiliare. E quindi, oltre a limitare la libertà degli elettori, si esalta l’effetto di trascinamento del voto al sindaco sulla composizione del consiglio, determinando una minorità genetica del secondo nei confronti del primo.
Ancora più discutibile è il progetto per l’elezione di Camera e Senato. Si prevede l’abolizione della quota di collegi uninominali (che alle prossime elezioni potrebbe favorire il campo progressista nella ipotesi che a differenza di quanto accaduto nel 2022 presentasse candidati comuni). Viene reintrodotto il premio di maggioranza, che sarebbe pari al 55% dei seggi con il 40% o poco più dei voti. È una coazione a ripetere che non trova riscontro nelle altre democrazie (solo in Grecia si prevede che un numero variabile di seggi fino a un massimo di 50 possano essere attribuiti al primo partito) e soprattutto è stata già praticata dal 2005 con il Porcellum e ha prodotto la formazione di coalizioni coattive eterogenee che hanno dato vita a governi instabili e/o litigiosi. Né pare praticabile la previsione che se nessuna coalizione raggiunga la soglia stabilita, si ricorra al ballottaggio tra le prime due, soluzione prevista per i primi due partiti nell’Italicum del 2015 e bocciata nel 2017 dalla Corte costituzionale. Infine si ripropone il problema come accadde nel 2005 (anche su sollecitazione del Presidente della Repubblica) della legittimità di un premio nazionale per il Senato che in base all’art. 57 c. 1 Cost. deve essere eletto “a base regionale”.
Verrebbero riproposte le liste bloccate che pregiudicano la libertà di scelta degli elettori o i capilista bloccati, ipotesi che renderebbe in pratica bloccate tutte le liste medio-piccole e consentirebbe una scelta limitata solo per quelle maggiori (soprattutto FdI e PD).
Infine si vorrebbe con legge ordinaria dare vita a un “Premierato di fatto” mediante l’obbligo di indicare nella scheda elettorale i candidati alla carica di Presidente del Consiglio. Si tratterebbe di una previsione inesistente, al pari dell’elezione diretta del Primo ministro, in tutti i paesi democratici e contrastante con l’art. 92 c. 2 Cost. che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di nominare il Presidente de Consiglio. Infatti il Capo dello Stato sarebbe vincolato di fatto a nominare il “vincitore” delle elezioni, tanto più se sostenuto da una maggioranza parlamentare determinata dal premio anche se rappresentativa di una quota ridotta di elettori. L’incostituzionalità è avvalorata dalla previsione contenuta nel Porcellum che dovesse essere indicato non nella scheda elettorale ma nel programma presentato da partiti e coalizioni il nome del “capo” (“unico” per le coalizioni) con la precisazione che erano fatte salve le prerogative del Presidente della Repubblica stabilite nella Costituzione. Inoltre la chiara indicazione del candidato quale capo del Governo avrebbe un effetto di trascinamento sul voto dato al Parlamento, che si troverebbe di fatto a rimorchio e destinato a essere subordinato secondo quanto auspicato dagli apologeti della “democrazia decidente” e “governante” in luogo di quella “dialogante” e “rappresentativa”. Anche qui il centro-destra spera di trarre vantaggio dalla difficoltà per il centro-sinistra di indicare un leader condiviso.
L’opposizione alle leggi elettorali prospettate deve essere netta. Quella comunale non ha bisogno di essere modificata. Se si vuole cambiare il Rosatellum, andrebbe presa in seria considerazione l’ipotesi di un sistema proporzionale con clausola di sbarramento e con l’attribuzione agli elettori della scelta effettiva dei parlamentari (mediante la preferenza di doppio genere o un certo numero di collegi uninominali). Quanto all’obiezione che un sistema proporzionale non produrrebbe una maggioranza parlamentare, va ricordato che la grandissima maggioranza dei paesi europei lo adotta e che esso consentirebbe di superare la rigidità delle formule maggioritarie che rendono difficile la formazione di coalizioni programmatiche postelettorali. Ne è la dimostrazione quel che sta avvenendo in Francia dove sono sempre più numerosi i pronunciamenti di uomini politici e studiosi favorevoli al superamento del sistema maggioritario e all’adozione di un sistema proporzionale.
[L’articolo è stato pubblicato in versione più ridotta con il titolo “Sulle leggi elettorali non c’è limite al peggio” ne il Fatto Quotidiano del 18 novembre 2025]


Nadia Urbinati