Sinistra, la sfida delle piazze: serve un riformismo radicale

08 Ottobre 2025

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Articolo pubblicato su Domani
Nadia Urbinati, 6 Ott 2025

Titolo originale Sinistra, la sfida delle piazze: serve un riformismo radicale

La mobilitazione di milioni di persone, diverse tra loro, ha mostrato la forza delle idee e la loro condivisione nello spazio pubblico. Ma anche che non c’è un legame diretto con le urbe, che va costruito con un programma credibile, radicale, realistico e coraggioso.


I movimenti di popolo, soprattutto quelli che non nascono dalle forze politiche, sono una straordinaria riserva di energia civile. Ma non sono di facile traduzione. I movimenti popolari per Gaza, che hanno avuto nella Flotilla la loro bandiera unitaria e rappresentativa, hanno portato nella sfera pubblica una costellazione di questioni, prima di tutto morali, che toccano e toccheranno molte più persone di quelle che si sono materialmente spese per essere attive nelle piazze e nelle strade. Senza rete e senza mediazioni.

Si è trattato di una rivolta umanitaria che ha probabilmente convogliato insoddisfazioni sociali e disagio politico. Ha mobilitato milioni di persone di ogni età e ceto sociale, di ogni genere e diploma scolastico, di ogni regione e credo, in reazione alla condizione disumana nella quale da troppi mesi sono costrette le popolazioni inermi a Gaza. Ha mostrato quanto potenti siano in una società democratica la trasmissione delle idee e la loro condivisione nello spazio pubblico. Senza rete, appunto. Il numero dà sicurezza e indica una potenza.

Quel che non risalta immediatamente è che la partecipazione spontanea tocca senza premeditazione le menti e le coscienze di moltissimi altri, oltre a quelli che sono fisicamente attivi. Diceva un grande scienziato politico, Elmer E. Schattschneider, che i sollevamenti popolari pacifici sono «contagiosi» perché non impauriscono e, al contrario, attirano; tendono quindi ad estendere la loro influenza. Le idee e le immagini coinvolgono in una forma o nell’altra l’intera società, anche coloro che non hanno partecipato e che hanno idee profondamente contrarie o dissenzienti. Tutti, in un modo o nell’altro, sono parte dei giorni della Flotilla.

Non è la fisicità che veicola opinioni, ma la rete fitta e ampia di discorsi pubblici che si dirama ovunque, che incorpora diverse speranze e preferenze, lamentele e interessi, anche di coloro che restano alla finestra, che si sentono a disagio o che si oppongono. I movimenti pacifici di cittadini sono un moto tellurico che unifica tutti, a prescindere dalle posizioni politiche. Riguarda anche chi si oppone alle ragioni di quei movimenti. Anzi, proprio nella dialettica dei due mondi che si incontrano e collidono attraverso l’azione dei movimenti popolari, si mostra l’incredibile potenzialità della tranquilla corrente pubblica attivata dai cittadini nelle democrazie.

Potenzialità per la destra, certamente, che dovrebbe ringraziare i milioni che sono scesi in piazza per esprimere l’opposizione alla politica internazionale del suo governo e alla posizione indecente tenuta verso la Flotilla. E a giudicare dalla violenta reazione verbale della presidente del consiglio, che ha reso conformista e di destra perfino San Francesco per gettare discredito sui dimostranti, si deve riconoscere che ha sfruttato al massimo l’occasione che le si è presentata.

Un’occasione che l’abilità dello sparviero ha razziato, magari confidando che gli estremisti della sua parte scatenassero violenza non solo verbale. Per gettare discredito sul movimento popolare e giustificare l’azione repressiva. Al di là di questa competente arte della provocazione che le appartiene, la destra usa sistematicamente i mezzi di informazione, che in larga parte domina, per avvelenare la narrativa umanitaria raccolta intorno alla Flotilla. Prevedibile.

E l’altra parte? Quella che in teoria è simpateticamente vicina a molte delle aspirazioni e delle denunce che hanno attraversato le piazze, per giorni. Il suo lavoro sarà più difficile, perché non è la razzia che la potrà avvantaggiare e neppure parole da titoli giornalistici. Da questa parte servirebbe una determinata volontà di tessere insieme quelle aspettative di un nuovo corso, per convogliarle verso una promessa politica che porti i cittadini al voto. Dalla piazza alle urne il processo non è scontato e deve essere costruito. Una promessa che sia un programma di alternativa comprensibile e solido. Anche perché il popolo che si è mosso così numeroso non ha probabilmente una disposizione politica precisa o idee preconfezionate sulle offerte dei partiti e, forse, nutre diffidenza o non ha abbastanza fiducia in quel che vede e sente a sinistra.

Questo è il momento per l’opposizione di articolare la promessa politica con un programma di “riformismo radicale” di governo, realistico e coraggioso, che infonda sicurezza nelle capacità di governo, non solo di opposizione. Riconquistare la fiducia in una credibile alternativa, dare consistenza a una promessa di giustizia ai milioni che hanno indicato di voler tornare ad avere fiducia nel discorso della politica, stanchi di non avere potere di ascolto e di influenza.

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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