Come docenti, ricercatrici e ricercatori, lavoratori e lavoratrici delle università italiane e straniere esprimiamo la nostra profonda preoccupazione e indignazione per i fatti accaduti a Milano nella giornata di lunedì 22 settembre 2025, durante lo sciopero generale per la Palestina.
La decisione delle forze di polizia di impedire a un corteo così numeroso di entrare nella Stazione Centrale — gestione che in molte altre città è avvenuta senza incidenti — e di intervenire con modalità repulsive e immediate, fino a fermare e arrestare studentesse e studenti delle scuole superiori, inclusi minorenni, appare spropositata e ingiustificabile.
La criminalizzazione della partecipazione politica giovanile, l’uso di strumenti repressivi in un contesto di mobilitazione pacifica e la formulazione di accuse pesantissime contro adolescenti sono segnali gravi e incompatibili con una società democratica.
Il diritto di manifestare, di dissentire, di schierarsi di fronte a un genocidio in corso non può e non deve essere trasformato in un reato. È compito della scuola e dell’università educare al pensiero critico, alla responsabilità civile, alla libertà di espressione. Vedere ragazze e ragazzi puniti con misure detentive per aver esercitato questi diritti è un attacco non solo alla loro dignità, ma all’intero mondo della conoscenza e della formazione.
Chiediamo pertanto:
- l’immediata e totale liberazione delle studentesse e degli studenti arrestati;
- l’annullamento delle accuse spropositate che pendono su di loro;
- il rispetto delle libertà fondamentali di parola, associazione e manifestazione;
- la fine della repressione e dell’intimidazione verso il mondo studentesco e i movimenti sociali.
Come comunità accademica ribadiamo che la democrazia non si difende con la repressione, ma garantendo spazio e ascolto al dissenso, soprattutto quando proviene dalle nuove generazioni. Più di un milione di cittadini hanno scioperato e sono scesi in piazza per denunciare la violenza genocidaria in atto in Palestina da parte dello Stato di Israele.
Ci schieriamo anche contro l’uso indiscriminato da parte di certa stampa, delle figure del “maranza” o del “migrante di seconda generazione” come costruzioni pretestuose e fittizie di un nemico della sicurezza pubblica. Tale rappresentazione è un pessimo esempio di produzione culturale coloniale e razzista, che non fa che alimentare divisioni e giustificare pratiche repressive. È nostro dovere proteggere e sostenere chi oggi alza la voce contro le ingiustizie globali e locali.
Invitiamo colleghe e colleghi, studenti e studentesse, istituzioni culturali e scientifiche a unirsi a questo appello.
La libertà di pensiero e la giustizia sociale sono valori che non possiamo permetterci di sacrificare.

