Avevano  un suono diverso le parole pronunciate dal presidente del Consiglio e  dai ministri del nuovo governo nel momento in cui giuravano di osservare  “lealmente” Costituzione e leggi e di esercitare le loro funzioni  nell´interesse “esclusivo” della Nazione. La formula apparentemente  burocratica del giuramento rivelava un´assenza: la mancanza negli ultimi  anni d´ogni lealtà governativa verso una Costituzione continuamente  dileggiata e aggredita, l´abbandono dall´interesse esclusivo della  Nazione a vantaggio di una folla di interessi privati e persino  inconfessabili. Quelle parole scomparse e tradite sono ritornate nel  momento in cui davanti al nuovo governo non è soltanto il compito assai  difficile di affrontare i temi dell´economia riprendendo pure il cammino  dell´equità e dell´eguaglianza, senza le quali la coesione sociale è  perduta. L´insistita sottolineatura del nuovo stile di Mario Monti  all´insegna di “sobrietà” e “serietà” non riguarda, infatti, segni  esteriori. Ricorda un altro compito, forse persino più difficile e  certamente bisognoso di molto impegno e di molto tempo, quello di far  uscire il nostro Paese dalla regressione culturale e civile nella quale è  sprofondato.
È questione che non si affida tanto a provvedimenti  formali. Accontentiamoci, per il momento, d´una prima, non indifferente  certezza. Il sapere che non vi saranno ministri della Repubblica che, di  fronte alla domanda di un giornalista o di un cittadino, leveranno in  alto il dito medio o risponderanno con una pernacchia (non il nobile e  difficile “pernacchio” di Eduardo). Rispetto e lealtà non sono dovuti  soltanto a Costituzione e leggi, ma a tutti coloro che nel mondo reale  incarnano valori e principi che lì sono iscritti. In questi anni abbiamo  assistito proprio al rifiuto dell´”altro”, l´avversario politico o  l´immigrato, lo zingaro o la persona omosessuale. L´indegna gazzarra  scatenata alla Camera dai deputati della Lega contro la civilissima  richiesta di avviare il riconoscimento degli immigrati come cittadini, e  non come merce usa e getta, è stata la conferma evidente della  difficoltà di invertire una tendenza che, mai contrastata efficacemente  per convenienza politica e debolezza culturale, ha terribilmente  inquinato l´ambiente civile.
Sarà la minuta sequenza degli atti  concreti a dare sostanza all´abbandono di un perverso costume. Al  governo spettano nomine importanti, sottosegretari e Rai per cominciare.  Il rispetto della Costituzione, inoltre, muove dal rispetto degli  istituti che la innervano, a cominciare dal referendum che ha ridato ai  cittadini la possibilità di far sentire la loro voce, spenta da una  legge elettorale indegna e venata da incostituzionalità. Proprio dal  voto sui referendum di giugno vengono tre indicazioni che il governo non  può in alcun modo eludere: il no al nucleare (lo ricordi qualche  ministro che non deve avere bene appreso la lezione di sobrietà e umiltà  invocata dal presidente del Consiglio); il rifiuto di ogni legislazione  attributiva di privilegi; il nuovo ruolo attribuito ai beni comuni,  all´acqua direttamente (non si segua il cattivo esempio delle furbizie  nelle quali il governo precedente si stava esercitando). Se il governo  vuole conservare la fiducia manifestata da una larga parte dell´opinione  pubblica, e cercar di recuperare critici e scettici, deve essere  consapevole che proprio questi sono i casi in cui massima dev´essere la  sua lealtà verso la Costituzione. È bene aggiungere che, considerando i  vari movimenti e indignati che occupano le piazze del mondo, in Italia  il risveglio civile non solo si era manifestato prima che in altri  Paesi, ma aveva trovato un fiducioso incontro con le istituzioni tramite  i referendum. Sarebbe un grave errore politico mettere questa vicenda  tra parentesi, poiché proprio da lì è cominciato quel rinnovamento che  ha trovato nel governo Monti un suo approdo, sia pure controverso.
Come  tutto questo incrocerà i sentieri parlamentari è questione tra le più  aperte. A proposito della quale, tuttavia, è bene insistere su una  banale verità, del tutto travisata da chi, gridando alla fine della  democrazia, ha lamentato un ruolo marginale del Parlamento in una crisi  tutta gestita tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio  incaricato. Ma abbiamo già dimenticato o cancellato il fatto  istituzionale più clamoroso di questi ultimi anni, appunto la scomparsa  del Parlamento, dileggiato da Silvio Berlusconi come luogo di inutili e  incomprensibili lungaggini, espropriato d´ogni potere dai voti di  fiducia e dai maxiemendamenti blindati, ridotto a mercato quando v´erano  da reclutare truppe mercenarie, rattrappito nei suoi lavori in un paio  di giorni a settimana, addirittura chiuso per mancanza di questioni  rilevanti da mettere all´ordine del giorno? Uno degli esiti, o  paradossi, di questa crisi sta proprio nell´aver rimesso al centro  dell´attenzione pubblica e della politica proprio il Parlamento,  ricordando così, come molte volte aveva già fatto il presidente della  Repubblica, che la nostra rimane una Repubblica parlamentare ed è lì che  i governi ricevono investitura e legittimità.
Sul rapporto tra  governo e Parlamento si è insistito molto in questi giorni, discutendo  soprattutto della possibilità che qualcuno voglia prima o poi “staccare  la spina”, di possibili maggioranze variabili nell´approvare singoli  provvedimenti. Ma vi è un altro aspetto del problema, particolarmente  rilevante nella prospettiva ricordata all´inizio della “bonifica”  politica e civile del nostro sistema istituzionale e della nostra  società. Qualcuno, nel dibattito parlamentare, ha avuto l´impudenza di  invocare la ripresa del cammino parlamentare del disegno di legge sulle  intercettazioni. Qualcun altro ha adombrato i temi della difesa della  vita, con un trasparente richiamo al disegno di legge sulle  dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico)  attualmente in discussione al Senato, e dopo che s´era verificato il  grave episodio di un governo che, in articulo mortis, aveva diffuso le  nuove linee guida in materia di procreazione assistita. L´insistenza su  questi temi rivela un intento strumentale, volto anche a creare frizioni  parlamentari che possono insidiare la tenuta del governo. Ma, se appare  davvero improbabile un rinnovato assalto a favore di una legge  bavaglio, più serie preoccupazioni destano i temi legati alla bioetica e  al biodiritto.
Per proteggere il governo, non si tratta di invocare  una “tregua etica” o rivendicare l´autonomia del Parlamento in materie  non comprese nel programma governativo, magari facendosi forti di  qualche improvvida dichiarazione che ha associato la costituzione di  questo governo con il “ritorno” dei cattolici in politica. Se alla  lealtà verso la Costituzione dobbiamo continuare a rifarci, è appunto il  percorso costituzionale che deve essere rigorosamente seguito tanto dal  governo che dal Parlamento. E questo significa mettere da parte il  testo sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, grondante di  incostituzionalità, sgrammaticature e difficoltà applicative in ogni suo  articolo. Significa riprendere il cammino verso una seria disciplina  delle unioni di fatto, comprese quelle tra persone omosessuali, alle  quali la Corte costituzionale ha riconosciuto un “diritto fondamentale”  al riconoscimento giuridico della loro condizione, indicazione finora  del tutto disattesa dal Parlamento. Significa riportare a ragione e  Costituzione la materia della procreazione assistita.
Per non  rimanere prigionieri dell´emergenza che ha segnato la nascita di questo  governo, e per sfuggire alle perversioni che questa può produrre,  bisogna imboccare senza esitazioni la via di una politica che sia tutta  politica “costituzionale”.		
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