Premierato e legge elettorale: la “linea nera” delle riforme

11 Dicembre 2025

Marco Ladu Professore associato di diritto costituzionale e pubblico

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Un resoconto del convegno “Premierato e legge elettorale. Le congetture riformatrici sull’ordinamento costituzionale italiano”, Brescia il 26 novembre 2025, promosso da Osservatorio Autoritarismo e Università di Brescia.

Tra le attività promosse dall’Osservatorio Autoritarismo di Libertà e Giustizia e Castelvecchi editore, lo scorso 26 novembre, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia, si è tenuto il convegno dal titolo “Premierato e legge elettorale. Le congetture riformatrici sull’ordinamento costituzionale italiano”.

La giornata di studio si è articolata in due sessioni. In apertura, la direttrice del Dipartimento, Adriana Apostoli, ha rivolto ai presenti il suo indirizzo di saluto, seguito dall’introduzione dei lavori affidata ad Antonio D’Andrea (Università di Brescia). Nella prima sessione hanno preso la parola Marco Ladu (Università eCampus), Alessandro Lauro (Università Ca’ Foscari di Venezia), Stefania Leone (Università di Milano) e Marco Podetta (Università di Brescia). Nella seconda sessione, coordinata da Arianna Carminati (Università di Brescia), sono invece intervenuti Roberta Calvano (Unitelma Sapienza), Salvatore Curreri (Università di Enna Kore), Gennaro Ferraiulo (Università di Napoli Federico II) e Valeria Piergigli (Università di Siena). Le conclusioni sono state svolte da Mauro Volpi, già ordinario di diritto costituzionale e comparato presso l’Università di Perugia, il quale – con autorevolezza ed efficacia – ha collocato le riflessioni emerse nel corso della giornata in un contesto di crisi più ampio per le democrazie costituzionali.

Qualche spunto di riflessione emerso dalle relazioni

Il convegno ha fatto emergere le principali implicazioni costituzionali del progetto di riforma sul cosiddetto “premierato” nonché quelle relative alle prime ipotesi di discussione della nuova legge elettorale (annunciate da esponenti dell’attuale Governo). Le relazioni svolte nella prima e nella seconda sessione hanno dimostrato, in modo sostanzialmente unitario, come la riforma sul premierato – pur potendo essere definita una riforma “puntuale” – non possa considerarsi un semplice intervento correttivo di natura tecnica dell’attuale sistema di governo parlamentare, ma costituisca il perseguimento di un modello “ibrido”, forse ispirato al modello britannico Westminster, dal quale, tuttavia, non possiede alcuna caratteristica (Piergigli). Esso, infatti, non ha un suo corrispondente in alcun ordinamento straniero e risulta tutto incentrato sulla verticalizzazione del potere, secondo la formula “chi vince, prende tutto” (Lauro). Difatti, l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, che avverrebbe contestualmente all’elezione delle due Camere, subordinerebbe nei fatti un Parlamento atrofizzato al Premier eletto, il quale trascinerebbe con sé la maggioranza parlamentare, nel quadro di un complessivo svilimento della rappresentanza e, ancor più, del ruolo costituzionale delle opposizioni (Carminati). 

Un’ulteriore criticità del progetto di riforma, emersa nel corso dei lavori, riguarda la doppia fiducia iniziale (Calvano), che la riforma manterrebbe come un passaggio necessario. Tale scelta, tuttavia, trasforma la fiducia in un elemento pleonastico o spurio del sistema, mantenuto pertanto al solo fine di esaltare ulteriormente la figura del Presidente del Consiglio, con un effetto di iper-legittimazione del vertice dell’esecutivo. 

Gli interventi hanno poi messo in luce problemi che innegabilmente affliggono il nostro sistema costituzionale, fra tutti l’instabilità e fragilità delle coalizioni elettorali e il sempre crescente astensionismo. Problemi, tuttavia, che la riforma solo in via presuntiva promette di risolvere. La stabilità di governo, intesa dal disegno sul premierato quale stabilità “inamovibile”, non è infatti compatibile con l’idea di un sistema parlamentare “dinamico” (D’Andrea) ed essa non può essere imposta dall’alto poiché rischia di derivare dalla cristallizzazione di coalizioni fragili, senza rafforzare la capacità di governo e mortificando ancor più il ruolo del Parlamento. Al contempo, è emerso come l’esperienza dell’elezione diretta dei Presidenti di Regione, altro modello cui il premierato si ispira – ma con il quale non ha nulla a che vedere nella sostanza (Ferraiuolo) –, abbia dimostrato nel tempo che il problema dell’astensionismo non sia superabile con la sola previsione di una legittimazione popolare di un organo di vertice (Leone); le cause del crescente astensionismo restano tutte da esplorare e sono riconducibili soprattutto ad un piano di analisi politico-sociale più che ad un piano prettamente giuridico-costituzionale (Ladu).

Quanto all’esercizio del potere di scioglimento anticipato delle Camere, ha suscitato non poche perplessità la sua trasformazione in un atto dovuto da parte del Presidente della Repubblica: al ricorrere di ipotesi tassative, infatti, il Capo dello Stato si ritroverebbe privo di discrezionalità e dovrebbe decretare pressocché automaticamente la fine anticipata della legislatura. Il potere di scioglimento, così inteso, finirebbe per costituire un’arma di deterrenza nella disponibilità dell’esecutivo in carica (Curreri) e le attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica rischierebbero di perdere di significato.

Le relazioni, infine, si sono concentrate sia sulla costituzionalizzazione del premio di maggioranza perseguita dalla riforma sia sulle ipotesi di una nuova legge elettorale basata sull’attribuzione di un premio. Una nuova legge elettorale, infatti, sarebbe senz’altro necessaria se la riforma dovesse entrare in vigore, ma ben potrebbe essere approvata anche a prescindere dalla realizzazione del premierato. Quale che sia la strada per introdurre il nuovo sistema, è stato ricordato che la materia elettorale, pur essendo affidata dalla Costituzione alla legge ordinaria, non può essere ridotta ad una leva per individuare surrettiziamente un capo di governo tramite il capolista di coalizione (D’Andrea) né per alterare, con l’elezione diretta del Premier e della sua maggioranza, il senso della rappresentanza parlamentare, con il rischio concreto di porsi in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento (Podetta). 

Le conclusioni di Mauro Volpi

Nelle sue conclusioni al convegno, il prof. Mauro Volpi ha richiamato il contesto politico e istituzionale nel quale si collocano oggi le riflessioni sul premierato e sul sistema elettorale. In particolare, Volpi ha sottolineato come l’Italia si trovi in una fase di crisi più ampia, che coinvolge quasi tutte le democrazie costituzionali. La crisi italiana, in una visione d’insieme, è per molti versi paragonabile a quella che stanno attraversando gli Stati Uniti e la Francia. In un momento così delicato, di evidente fragilità, introdurre la formula di un Presidente del Consiglio direttamente eletto dal popolo significherebbe «scherzare col fuoco», in un Paese storicamente incline a confidare nell’uomo della provvidenza.

La critica di Volpi si è poi concentrata sul totale svilimento del ruolo del Parlamento e sullo «strapotere» di cui gode oggi il Governo. Il premierato, a suo avviso, aggraverebbe soltanto la subordinazione delle Camere, trasformandole in organi geneticamente dipendenti dal voto sul Premier, dando luogo ad un vero ribaltamento dei principi della forma di governo parlamentare: il Governo non deriverebbe più dal Parlamento e non potrebbe essere sostituito nel corso della legislatura se non attraverso lo scioglimento anticipato delle Camere. 

Nella sua articolata relazione, sono molti gli aspetti che Volpi ha voluto ribadire e ricondurre ad un «filo nero», che a suo avviso collega l’attuale stagione delle riforme e che connota anzitutto il premierato, la “madre di tutte le riforme”. Dalla riduzione dei poteri di intermediazione politica del Presidente della Repubblica al rischio concreto di insediamento di Governi in carica per una durata complessiva di oltre dodici anni; dalla contraddittorietà della doppia fiducia iniziale, al rischio di riproposizione di un sistema elettorale basato su liste bloccate e capilista predeterminati, che ridurrebbero ulteriormente la libertà di scelta degli elettori. Insomma, un quadro allarmante, che nelle sue conclusioni, Volpi ha voluto consegnare alle parole pronunciate dalla senatrice Liliana Segre in un suo intervento del 14 maggio 2024, proprio quando in Senato si discuteva il primo voto sul disegno di legge relativo al premierato: «Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».

Marco Ladu è professore associato di diritto costituzionale e pubblico presso l’Università eCampus. I suoi interessi di ricerca riguardano, in particolare, la forma di governo italiana, la giustizia costituzionale, la rappresentanza politica, la partecipazione democratica nell’ambiente digitale e l’impatto delle tecnologie sull’organizzazione complessiva dei poteri pubblici. È autore di due monografie (Il controllo alternato della Corte costituzionale, Editoriale Scientifica, 2024; Rappresentanza e partecipazione politica nell’era digitale, Cacucci Editore, 2023) e di numerosi articoli, saggi e contributi in riviste scientifiche.

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