Un giudice che rassicuri il potere

07 Novembre 2025

Alessandra Algostino costituzionalista

Articolo pubblicato su Il Manifesto
Alessandra Algostino, 5 Nov 2025

Titolo originale Un giudice che rassicuri il potere

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

La revisione costituzionale, che ha seguito un iter dominato dal governo all’insegna del «credere, obbedire, approvare», mina l’indipendenza. Opporsi – il referendum è oppositivo, non confermativo – è un modo per agire contro la sicurezza del potere e per la sicurezza dal potere.

Leggi tiranniche già esistono, dalle norme che violano diritti in chiave razzista (esternalizzazione delle frontiere e demolizione del diritto di asilo) al diritto penale del nemico (dissenzienti, poveri e migranti) e altre ancora sono allo studio (per tutte, leggi che con il pretesto della lotta all’antisemitismo pretendono di disciplinare scuola e università). Ma al governo non basta: occorre assicurarsi anche un’esecuzione tirannica.

La riforma della giustizia mira a un giudice che garantisca la sicurezza del potere invece della sicurezza dal potere? Muoviamo dai fondamentali: la magistratura è un potere dello Stato, se pur connotato dall’essere diffuso, ed è anche un limite al potere. È un potere, ma insieme un contro-potere: lo è in quanto parte della separazione dei poteri e del loro equilibrio; lo è in quanto deputato a salvaguardare l’argine dei diritti dall’arbitrio, pubblico e privato; lo è in quanto controlla e presidia i confini del diritto.

Fondamentale, dunque, è la sua indipendenza, perché sia garante dei diritti e non oppressore. La revisione costituzionale, che, per inciso, ha seguito un iter dominato dal governo all’insegna del «credere, obbedire, approvare», mina l’indipendenza.

In primo luogo, ad indebolire la magistratura è la frammentazione degli organi e delle competenze attraverso lo sdoppiamento del Csm e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare. In secondo luogo, non è fanta-Costituzione preconizzare che un pubblico ministero separato sia attratto nella sfera di influenza dell’esecutivo: separare per asservire (dato storico e comparato depongono in tal senso). In terzo luogo, il sorteggio secco, per scegliere i membri togati dei Csm, da un lato, esprime sfiducia e svilisce ciascun giudice ritenuto fungibile rispetto ad un altro, in uno con la denigrazione mediatica che da anni accompagna la giustizia; dall’altro lato, toglie voce alla varietà e complessità delle interpretazioni, depriva la ricchezza di visioni che attraversano la magistratura e la riflessione che scaturisce dal confronto, intaccando la rappresentatività. Quanto al sorteggio dei membri laici, mediato (sono estratti da una lista eletta dal parlamento), la mancata previsione di maggioranze qualificate li rende disponibili al continuum maggioranza-governo.

Infine, quanto all’Alta Corte, da segnalare è come il sorteggio per i membri togati sia ristretto su base gerarchica, connotando in senso verticistico la Corte, veicolando un potere piramidale in luogo di diffuso: ad essere intaccata, direttamente, è l’indipendenza interna, del singolo giudice nel corpo giudiziario, e, indirettamente, l’indipendenza tout court, aprendo ad influenze esterne sui giudici attraverso i vertici.

È una revisione non della Costituzione, ma contro la Costituzione, i suoi principi, la democrazia che essa disegna. È un tassello nella costruzione di un potere libero da catene, in primis quelle della Costituzione. E questo, nel contesto di una democrazia segnata dalla verticalizzazione del potere, attraversata da una militarizzazione crescente, come pulsione alla guerra e arruolamento nella logica amico/nemico; una democrazia svuotata da una rappresentanza asfittica e marginalizzata e sterilizzata da provvedimenti che reprimono il dissenso, dove l’«effettiva partecipazione» è sostituita dal principio di autorità.

Il diritto penale dell’amico veicola l’immagine dello Stato come ordine pubblico, dell’obbedienza dei sudditi, privilegiando le forze di polizia rispetto ad altre funzioni dello Stato (istruzione, sanità), la riforma della giustizia apre a un rapporto privilegiato fra il pubblico ministero e la polizia: indebolisce il giudice come contropotere e rafforza il giudice come oppressore.

La figura del giudice oppressore è coerente con la metamorfosi della sicurezza sociale e dei diritti in sicurezza come ordine pubblico e con la sostituzione dell’orizzonte aperto del conflitto e della trasformazione con la repressione.

La giustizia diseguale o di segno autoritario, al servizio del potere, esiste anche oggi, ma rappresenta uno sviamento rispetto alla Costituzione e il giudice ha i presidi costituzionali necessari per muoversi nel solco della Carta fondamentale e della sua attuazione: se la sua indipendenza sarà minata saranno normalizzate distorsioni repressive e giustizia di classe.

Se la revisione passerà il vaglio del referendum, le vocazioni autoritarie e le mire egemoniche di un capitalismo senza freni avranno nuovi strumenti; sarà un ulteriore passo nello stravolgimento della Costituzione e nella costruzione del neoliberismo autoritario: un giudice pronto a perseguire i deboli e difendere i forti, a praticare una giustizia diseguale e a reprimere il dissenso.

Opporsi – il referendum è oppositivo, non confermativo – è un modo per agire contro la sicurezza del potere e per la sicurezza dal potere.

Alessandra Algostino è professoressa ordinaria di diritto costituzionale nell’Università di Torino

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