Giustizia: il referendum e lo scontro politico

31 Ottobre 2025

Anna Bredice cronista parlamentare di Radio Popolare

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Forza Italia celebra la vittoria in piazza Navona nel nome di Berlusconi

Subito dopo l’approvazione della riforma sulla giustizia, lo scambio diretto e incrociato è stato tra Meloni e Schlein, le leader dei due partiti principali. Seguite da tutti gli altri, chi con maggiore chi con minore risonanza. Un assaggio di quello che sarà da qui al voto di primavera.

Giovedì 30 ottobre, poco dopo mezzogiorno, la riforma sulla separazione delle carriere ha chiuso il suo veloce percorso parlamentare: mai nella storia degli ultimi decenni era stato impedito di modificare anche solo di una virgola una riforma costituzionale, come è accaduto in questo caso. Ora tocca ai comitati referendari organizzarsi per arrivare in primavera a un voto che, con una conferma o una bocciatura, non solo segnerà le sorti del futuro Consiglio Superiore della Magistratura ma, considerando la vicinanza alle elezioni politiche del 2027, avrà inevitabili effetti anche sui partiti, in particolar modo sui due più grandi, Fratelli d’Italia e il Partito Democratico.

Ad Elly Schlein, subito dopo il voto, è stato chiesto se si dimetterà da segretaria del partito, nel caso dovesse andare incontro a una sconfitta. «No, la Presidente del Consiglio dovrà continuare a sopportarmi – ha risposto – e Giorgia Meloni non dovrà dimettersi, perché tanto la batteremo alle elezioni politiche». È molto probabile che il confronto tra le due leader di maggioranza e di opposizione, come avvenuto in questi due anni, segnerà anche la campagna referendaria. Del resto, la reazione a caldo di Giorgia Meloni dopo il parere della Corte dei Conti sul ponte sullo Stretto è apparsa già un intervento da protagonista della campagna referendaria: un riflesso automatico di chi potrebbe fare molta fatica a stare un passo indietro per evitare di personalizzare troppo su di sé il voto e rischiare così di ripetere la sconfitta di Matteo Renzi. Le accuse ai giudici contabili di «intollerabile invadenza nell’azione di governo», pur se in parte attenuate il giorno seguente da una nota più cauta, sono state recepite come una dichiarazione di guerra ai magistrati. Se nei prossimi mesi Giorgia Meloni continuerà a usare questi toni, difficilmente potrà andare avanti come se nulla fosse accaduto, di fronte a una eventuale sconfitta. Può darsi che sia anche per questo motivo che il Presidente del Senato Ignazio la Russa, apparso tiepido verso questa riforma (aveva infatti ricordato di essere stato tra gli artefici della separazione delle funzioni, che rendeva, com’è tuttora, difficile il passaggio da una carriera all’altra), si è lasciato sfuggire un laconico «forse il gioco non vale la candela». 

Le due coalizioni studieranno nelle prossime settimane le strategie organizzative e comunicative in vista del referendum. 

Forza Italia ha tirato fuori dagli armadi le gigantografie di Silvio Berlusconi, portate in processione in Piazza Navona per festeggiare e dedicare a lui la riforma, anche se la guerra trentennale di Berlusconi, e ora di Forza Italia, contro i giudici sembra assumere contorni ancora più grandi. Per il capogruppo di Avs al Senato, Peppe De Cristofaro, le tre riforme del governo – premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere – non sono solo uno scambio tra partiti della maggioranza, ma «rispondono all’idea di avere un governo fuori dal controllo del Parlamento e della Magistratura». A sinistra, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra condividono le stesse valutazioni: quei cartelli esposti al momento del voto al Senato, “no ai pieni poteri”, potrebbero diventare lo slogan della campagna referendaria, anche se al momento non è stato deciso se ci sarà un unico comitato per il No. 

Per Elly Schlein, che si è detta sicura che tutto il partito sarà compatto sul No, la campagna del Partito Democratico sarà distinta da quella dell’Associazione Nazionale Magistrati: «Noi faremo la nostra battaglia, l’Anm farà la sua. Noi faremo la nostra con i nostri argomenti». Una scelta inevitabile, per non cadere nel gioco della destra che parlerà di un “abbraccio” tra politici e magistrati, per mettere questi ultimi in cattiva luce.

Il costituzionalista Enrico Grosso sarà presidente onorario del Comitato a difesa della Costituzione per il No dell’Anm: «Siamo disponibili con chiunque purché si apra il più ampio confronto, anche con la premier Meloni e l’esecutivo», ha detto il neo presidente del Comitato. Le accuse di «intollerabile invadenza» mosse ai giudici della Presidente del Consiglio sembrano tuttavia rendere difficile questo dialogo.

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